Regia di Stephen Nomura Schible vedi scheda film
La musica salverà il mondo, un piccolo inchino alla platea in delirio, un gesto delle mani che sembra dire “Ma perché mi applaudite tanto?”, ancora un sorriso timido. Questo è Ryuichi Sakamoto.
La prima mondiale di Ryuichi Sakamoto: Coda a Venezia74 ha segnato il ritorno dell’ artista al festival cinematografico dove fu membro della giuria nel 2013.
Il documentario sarà nelle sale il 4 novembre.
Il regista e amico Stephen Nomura Schible, con lui in conferenza stampa prima della proiezione per il pubblico in Sala Grande, ha parlato del progetto, della lunga gestazione, circa quattro anni, e della pausa per la malattia che ha colpito l’artista, un cancro alla gola curato e tenuto a bada.
Aggiunge sorridendo Sakamoto: “Il pensiero della morte è qualcosa con cui si convive sempre, ora è un po’ più vicino”.
Colpisce la semplice naturalezza di quest’uomo, il suo parlare sommesso, la sua ammissione di timidezza. Per raccontare le ragioni che hanno fatto nascere il documentario parte da Fukushima. E’ stata quella tragedia a farlo decidere, il timore, molto fondato, della rimozione.
“Il terremoto e lo tsunami ormai sono stati, il problema è il dopo, gli effetti che continuano, la volontà dei giapponesi di dimenticare, di non guardare la realtà” dice accorato e continua “ Non abbiamo ascoltato la voce della natura, non l’abbiamo ascoltata abbastanza”.
Ryuichi Sakamoto: Coda si apre con la musica, quella di un pianoforte annegato e ripescato dopo l’alluvione. Il musicista sembra accarezzarlo mentre prova i tasti e ne ascolta gli accordi. Il povero strumento graffiato e malmesso emette ancora la sua voce, e Sakamoto dice qualcosa che colpisce, parla dell’artificio che l’accordatura conferisce ad uno strumento musicale.
“Quella che ascoltiamo è la voce indotta dall’intervento umano, la natura ha regole sue che la mano dell’uomo altera, certo per necessità, molto spesso con risultati eccellenti, ma lungo questa strada il rischio della manipolazione arbitraria ed eccessiva è troppo alto e storie come quella di Fukushima lo dimostrano, bisogna essere vigili, sempre”.
Il documentario non vuole raccontarci una vita né celebrare l’icona che Sakamoto è ormai da tanti anni. E’ piuttosto un percorso intimo, il suo sguardo sugli uomini, la sua curiosità di esploratore in tanti luoghi del mondo, la registrazione di scorribande casalinghe portando scatole e materiali per cercare accordi inediti, sonorità nuove, motivi essenziali, musica che nasce da oggetti comuni e dalle voci della natura, primi piani sulle mani che si esercitano alla tastiera, anche se fa freddo e le dita sono gelate, ma “fermarsi sarebbe la fine”, dice sommessamente Sakamoto, la musica non può arretrare, deve vivere ogni istante con noi.
“La musica è nostalgia del passato”, c’è Bach oggi tra i prediletti, i suoi corali “erano la voce di un popolo che soffriva, aveva fame, moriva di peste. La musica ispirata da Fukushima dovrà essere il corale dei miei tempi, con le sue tragedie”.
Sakamoto si muove con naturalezza sul set che è soprattutto il suo appartamento, piccolo, gremito di libri e strumentazione musicale, elettronica e tradizionale. Il suo mondo sonoro parte da lì e si allarga a onde concentriche a comprendere l’Universo intero, dal Caos all’ordine, da entità acustiche inaudite ad accordi elettronici e infine al suono limpido del suo pianoforte.
Scorrono brani da film, le pellicole celebri con le sue colonne sonore.
Forbidden colours apre con la scena indimenticabile del bacio, 1983, Merry Christmas Mr. Lawrence.
Lui, il giovanissimo comandante Yonoi, “samurai new age, eleganza felina nel kimono da combattimento e nella divisa imperiale, figura densa di ombre e trasalimenti, chiuso in una corazza di mistica adesione all’antica etica bushido, eppure così pronto a spezzarsi di fronte all’oggetto del desiderio, l’attrazione per Celliers, che nella scena del bacio di fronte al condannato a morte raggiunge vertici di tensione” e David Bowie, il maggiore Jack Celliers, in una delle sequenze più famose nella storia del cinema.
Seguono le sue storie celebri, collaborazioni con grandi registi, L’ultimo imperatore (The Last Emperor, 1987, di Bernardo Bertolucci), Il tè nel deserto (The Sheltering Sky, 1990, di Bernardo Bertolucci) fino a Revenant – Redivivo, 2015, di Alejandro González Iñárritu, una lunga carriera nel mondo della musica e delle arti, quarant’anni di successi, un lungo catalogo di percezioni sonore, mondi che la sua musica ha creato materializzando personaggi, luoghi reali o immaginari che field recordings naturali evocano, colorano e fanno crescere in atmosfere rarefatte, basta un grappolo di note e riconosciamo la sua cifra stilistica.
Sakamoto cita Takemitsu, un maestro: “ Takemitsu diceva che una sola nota potrebbe bastare per una fare una colonna sonora”.
La sua esperienza di attore, afferma, è ininfluente, “non ho studiato da attore, questo documentario è sul confine tra fiction e realtà, perché la vita stessa è una recita, in ogni momento noi recitiamo una parte”.
La sua voce commenta, racconta le esperienze che più gli sono rimaste dentro, dal crollo delle due torri (chissà dove andavano quegli uccelli che vediamo volare davanti alle torri in fiamme?) al viaggio nell’Artide per immergere un registratore nelle acque di un ghiacciaio e registrarne la musica.
Ma oggi sono soprattutto il suo Paese e la sua città, Tokyo, la deriva inarrestabile del rapporto degli uomini con la natura, con l’ambiente, fra loro stessi a interessarlo per la ricerca di nuove strade nusicali.
Sakamoto sceglie in ogni istante il basso profilo, quaranta anni di carriera, premi, gloria internazionale sembrano sparire nell’abito semplice, confidente, dolcissimo di un uomo che ama il mondo perché lo vive attraverso sua musica ed è nella musica che trova ogni giorno la voce per dirglielo, a partire da quando aveva tre anni e cominciò a suonare il pianoforte o dagli anni liceali della Yellow Magic Orchestra, formazione dedita a sperimentazioni elettro-pop, quando da tastierista iniziò la sua ricerca di contaminazione tra musica tradizionale d’Oriente e avanguardie elettroniche occidentali. I Beatles, Beethoven e John Cage furono i suoi primi idoli, ma oggi c’è soprattutto Bach, è di lui che ama parlare e sulla sua musica sublime misurarsi. Anche quando il mondo sembra girare a rovescio, la malattia colpisce basso, l’ambiente è devastato, il Caos sembra riprendere il sopravvento.
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