Regia di William Friedkin vedi scheda film
VENEZIA 74 - FUORI CONCORSO - NON FICTION
"Prima di girare The Exorcist non avevo mai assistito ad un esorcismo e non ne sapevo assolutamente nulla" ci confessa limpidamente un William Friedkin fisicamente in gran forma, e che solo 45 anni piu' tardi, nel 2016, ebbe modo, grazie ad un amico produttore italiano, di venire a contatto con il celebre esorcista di riferimento della diocesi romana e del Vaticano, ovvero di Padre Gabriele Amorth. Un anziano prelato ex partigiano, specializzato in pratiche religiose a tutela delle persone afflitte da possessioni demoniache.
Dichiaratosi fan del regista, e grato a Friedkin per aver reso di pubblico dominio la conoscenza, pur eccentricamente ridimensionata da effetti splatter un po' troppo pittoreschi, del proprio particolare "mestiere", o specializzazione che dir si voglia.
Amorth, non senza una certa comprensibile titubanza iniziale, accetta di concedere a Friedkin la possibilità di riprendere, con una piccola telecamera amatoriale e senza luci aggiunte a sostegno (potrebbero interferire con il buon esito della pratica), un esorcismo posto in essere a tutela e salvaguardia di una donna trentenne che convive con la possessione da oltre un decennio: un calvario di sofferenze fisiche e psicologiche che hanno costretto la "paziente" a sottoporsi a ben otto pratiche o sedute, che tuttavia non sono riuscite a ricaricare il maligno.
Su una ventina di minuti di girato, introdotti brillantemente e sapientemente dallo stesso Friedkin, da interviste al recentemente scomparso scrittore, sceneggiatore (de L'Esorcista) e regista William Peter Blatty, nonché da testimonianze di altri individui (italiani) afflitti da possessione e liberati da Amorth, il gran regista ci rappresenta in tutto il realismo di un filmato in presa diretta e di tipo amatoriale, il nono tentativo di ricaricare Satana dal corpo della donna: occasione che permette dell'anziano superlativo cineasta di costruire un piccolo gioiello di suspence: efficace non tanto nella parte relativa alla pratica dell'esorcismo - realistica e drammatica mentre coinvolge la vittima ma pure l'intera famiglia della donna, quanto piuttosto da piccoli, tesissimi flash su particolari relativi ai materiali di raccordo (il corridoio della casa dell'esorcista, la svolta a sorpresa scientemente e furbamente ricostruita nei pressi della chiesa di Alatri): occasioni fertili ed ideali a far sì che il piglio e lo stile del grande regista ci sorprendano, emozionino e facciano "cinematograficamente" del bene.
Ci sta poi che Friedkin si autocelebri nemmeno tanto velatamente (lui si che può permettersi il lusso di farlo e non gliene vogliamo di sicuro!), o che ci prenda sonoramente per i fondelli (la svolta tutta suspence dell'incontro di Alatri di cui sopra è geniale per piglio registico e virtuosismo).
Sta di fatto che da un piccolo filmato frutto di una ossessione personale lunga quasi un cinquantennio, ne esce fuori un documentario che riesce a risultare snervante, ostico e disturbante, ma soprattutto a ricordarci come un regista deve agire per creare la tensione vera, palpabile: quella che in molti horror costruiti in serie latita clamorosamente.
E un documentario horror, per quanto piccolo e casalingo, non è certo un oggetto di routine; non è il solito falso mockumentary, ma qualcosa di più semplice e genuino, forte di palpiti da brivido fulminei come coltellate scagliate a tradimento.
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