Regia di S. Craig Zahler vedi scheda film
Venezia 74 – Fuori concorso.
Dopo aver contaminato il western con una vena di horror cannibalesco (Bone Tomahawk), S. Craig Zahler approda ai giorni nostri, entrando nel mondo della criminalità organizzata che non ammette scontate vie di fuga e successivamente nella (ir)realtà carceraria.
Proprio in questo frangente, di gran lunga il più corposo della pellicola, il regista ripete qualcosa di analogo a quanto avvenuto nel suo lavoro precedente, compiendo il miracolo di proporre qualcosa di diverso da qualunque cosa sia mai stata vista fino ad oggi in un filone come il prison movie di cui è già stato visto di tutto e di più.
Bradley Thomas (Vince Vaughn) è un ex pugile che fatica ad andare avanti e che vede sgretolate una per una quelle poche certezze che gli rimanevano, comunque disposto a qualsiasi tipo di sacrificio pur di tutelare sua moglie Lauren (Jennifer Carpenter), peraltro in dolce attesa.
Trovatosi con le spalle al muro, Bradley entra nel giro della droga, ma la fortuna sembra cieca e dopo uno scontro a fuoco con la polizia, durante il quale compie una scelta inaspettata, viene arrestato. Finito in carcere per scontare una pena di alcuni anni, dovrà confrontarsi con avversità sempre più aspre e selvagge, legate a doppio filo a qualcuno che dall’esterno lo vuole punire severamente per quanto accaduto nel recente passato.
Con Brawl in cell block 99, S. Craig Zahler conferma di essere un autore senza paura, che gira senza bisogno del paracadute di emergenza, prelevando spunti a destra e a manca con la finalità di dare vita a opere quanto meno insolite, dal punto di vista tecnico, talvolta con punti di ripresa ricercati, ma soprattutto nelle traiettorie dello storytelling, che redige con spavalda decisione e meno incoscienza di quanto possa dare a vedere di primo acchito.
Inoltre, la prende anche larga, costruisce basi attendibili, tra posti di lavoro volatilizzati, le difficoltà nella gestione familiare e ideologie incastonate nella roccia, mostrando spigoli acuti e iperboli di costituzione surreale, per poi scatenare una spirale a senso unico, pronta a risucchiare anche chi crede di essere al sicuro.
L’estensione principale è legata al carcere, che a conti fatti sono due distinti, uno blando e un altro che definire atroce è riduttivo, con i suoi rituali consolidati, comunque descritti con una vena sarcastica, a precedere una processione dagli intenti sempre più nitidi, efficace nell’allontanare sempre più qualsiasi tipo di pia illusione, imbastendo un rimbalzo di vendette che sfociano nella violenza più brutale e bieca.
Quest’ultima è iraconda sugli effetti fisici, tanto da sconfinare in un’espansione insostenibile per i deboli di stomaco, ma riesce a essere ancora più letale quando alcune minacce arrivano a prospettare soluzioni di una malvagità d’incalcolabile disumanità.
Di conseguenza, più si avvicina l’ultimo confronto, più aumentano i combattimenti da strada, nel senso di grezzi e volutamente letali, con tanto di torture e celle progettate appositamente, che solo una mente malata può arrivare a escogitare.
In continuità con una sequela di singole soluzioni sorprendenti, il protagonista scelto per affrontare questa parabola senza speranza è Vince Vaughn, un comico di successo, la cui esperienza torna utile, che comunque in passato non ha disdegnato ruoli duri (anche se non certo fino a questo punto, vedi Psycho e Il sapore del sangue), mentre a Udo Kier la sua parte calza come un guanto e Don Johnson non cede di una virgola in fatto di manifestazione d’autorità.
Insomma, anche gli attori forniscono il loro contributo nel delirante assemblaggio di un girone infernale nel quale sadismo e amore finiscono nello stesso piatto, quello che Brawl in cell block 99 prepara utilizzando la follia in senso pratico, scatenando il finimondo e continuando ad ardere i suoi tizzoni fino all’ultimo fotogramma utile, chiudendo ogni linea aperta senza condonare nemmeno una virgola a nessuno.
Una mattanza sanguinolenta e sfacciata, indubbiamente survoltata andando ben oltre ciò che si potrebbe considerare lecito e logico, ma senza perdere di vista le varie tappe e soprattutto l’obiettivo finale.
Una congiunzione semplicemente micidiale.
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