Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film
Gli scenari ampi e desolati di Antonioni ripropongono, ancora una volta, l'idea della vita come spazio deserto, in cui non esistono piste tracciate o percorsi privilegiati. Il passaggio dal destino di David Locke a quello di David Robertson avviene in maniera fluida e silenziosa, senza che si avverta lo scatto del cambio di rotaia. Essere, non essere, incontrarsi, lasciarsi sono solo le varianti di un unico moto ondoso in balia delle correnti; sono, in fin dei conti, tanti modi equivalenti di andare alla deriva. Non c'è punto di partenza, e non c'è meta, in ciò che sembra una turbolenza filmata al ralenti. I personaggi sono naufraghi dell'esistenza che non riescono a spiaggiare, privi di qualsiasi punto di riferimento, e senza nemmeno la certezza di un'identità. In questo film, più che altrove, le personalità sono azzerate, e sostituite da ruoli provvisori, che pure sono forze vincolanti nelle sorti individuali. Locke vorrebbe scappare da se stesso, ma finisce poi per imboccare la via senza ritorno assegnata a Robertson. La fuga volontaria verso una nuova libertà è infatti soltanto un'illusione: in "Professione Reporter", Antonioni ci dimostra che basta un accorgimento ottico, un rovesciamento della prospettiva, perché la corsa a perdifiato appaia come un inarrestabile risucchio dentro il vuoto.
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