Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film
Due vite ,un solo destino.Come è facile appropriarsi della vita altrui,basta essere in uno sperduto alberghetto africano e falsificare qualche documento.Il più è fatto?No,perchè appropriarsi della vita altrui vuol dire prendere anche possesso di tutti i buchi neri della vita dell'altro.L'incipit,il reporter abituato a dire sempre la sua verità falsifica il suo trapasso,finge la sua morte,quasi si bea a leggerla dai giornali.E all'inizio non ci viene fornita alcuna spiegazione:Locke è morto,viva Robertson.Ma forse quest'ultimo non è quello che sembra,è un trafficante d'armi,abituato a trattare con gente pericolosa,una vita non esattamente comoda da vivere.Figuriamoci sotto mentite spoglie.In più la moglie di Locke scatena il finimondo per parlare con il falso Robertson(e qui intuiamo forse le ragioni della scelta di Locke,alle prese con una moglie siffatta e con una professione stancamente tollerata) e con la sua ottusa pervicacia gli scatena dietro una muta di cani feroci.E,nonostante aiuti terreni o quasi divini il destino si compie,la morte arriva improvvisa come per Robertson....Antonioni parte da un soggetto che è quasi un giallo,il film comincia come una sorta di spystory in cui il novello Robertson è costretto a spostarsi per l'Europa e per l'Africa,incontrando perfetti sconosciuti, leggendo gli appunti dell'altro su una specie di agendina.Ma ,come spesso accade, nei film del maestro ferrarese si parte parlando di una cosa e poi in realtà ci si interessa a tuttaltro.Come ne L'avventura all'inizio ci si mobilitava per ritrovare Anna e poi gradualmente questa ricerca scivolava nell'oblio,come in Blow up la ricerca della verità gradualmente si confondeva con l'immaginazione,come in Zabriskie point si cominciava a parlare delle contestazioni studentesche e poi il racconto si spostava sempre sull'uomo e il suo destino,qui l'intrigo giallo spionistico è solo un punto di inizio di un viaggio dai contorni metafisici del suo protagonista costretto a vagare ramingo attraverso scenari di indubbia suggestione ma che restano inerti ,sullo sfondo ,siano esse le architetture curvilinee di Gaudi,siano essi gli scorci di un deserto ciottoloso,siano esse le quattro misere pareti di un albergo africano a zero stelle.Il viaggio di Locke/Robertson è un viaggio alla ricerca della solitudine,un rifiuto della propria verità giornalistica per abbracciare la verità assoluta,l'anelito a liberarsi di tutti i legami terreni(sia quello con la moglie che quello con la ragazza che invece riesce praticamente a trovarlo ovunque),un tentativo utopistico di essere solo e libero da tutto e da tutti,da tutte le convenzioni sociali,da tutte le relazioni.La sua fuga è alimentata dal velo di inquietudine di non sapere realmente cosa cercare,dall'incapacità di frugare nelle pieghe del proprio animo alla ricerca di risposte coerenti e definitive.Sa da cosa fugge,sa perchè,ma non sa che cosa cerca.Ed è qui che il destino si compie,Locke è costretto a morire una seconda volta.Ma stavolta non lo leggerà sui giornali....Dal punto di vista stilistico Professione:reporter è forse l'apice della visionarietà di Antonioni.La sua cinepresa si muove fluidamente oppure indugia in un incredibile e definitivo pianosequenza finale,a volte sembra che il regista ferrarese sia come un bambino alle prese con il suo nuovo giocattolo(vedi la sequenza dalla funivia in cui dall'alto si inquadra Nicholson a braccia aperte sporgersi fuori dal finestrino che per cromatismo ricorda moltissimo la celeberrima sequenza della spiaggia di Budelli in Deserto rosso ).Come quasi sempre gli succede i suoi silenzi valgono molto più delle parole.Stupisce la misura di Nicholson alle prese con un personaggio stratificato e poi quei lunghi minuti del piano sequenza finale,non è più tempo delle esplosioni di Zabriskie point,finisce tutto nel silenzio....nel nulla....
una regia illuminata che riesce a catturare ipnoticamente
stupisce per misura
piuttosto acerba
di ottusa pervicacia
non male
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