Regia di Hun Jang vedi scheda film
A Taxi Driver è un film è un film sudcoreano del 2017, diretto da Jung Hoon.
Sinossi: Kim Man-seob è un tassista irregolare e squattrinato di Seul tuttavia un giorno con astuzia e molta fortuna riesce ad accaparrarsi un cliente straniero (reporter tedesco), il quale è disposto a pagare una fortuna per farsi accompagnare a Kwangju.
Kim Man-seob è al settimo celo ma è all’oscuro di ciò che sta succedendo a Kwangju, teatro di feroci scontri fra la popolazione (soprattutto studenti), oppressa da anni, ed i militari in assetto bellico pronti a dare avvio ad una carneficina…
Il massacro di Kwangju è ancora oggi una pagina dolorosa e vergognosa della recente storia coreana; evento traumatico affrontato di petto da svariati registi a partire dai maestri della new wave anni Ottanta, Park Kwang-soo o Jang Sun-woo (A Petal), fino ad arrivare ad autori contemporanei come Jang Hoon (l’ex pupillo ed aiuto regista di Kim Ki-duk) ed il suo A Taxi Driver.
Prima ancora di procedere ad analizzare il film è necessario spendere due parole sulla situazione politica coreana dell’epoca. Gli anni Ottanta sono un periodo estremamente turbolento in Corea del sud, dopo l’assassinio del dittatore Park Chun-hen nel 1979, si insedia al potere, con un nuovo colpo di stato, il generale Chun Doo-hwan ed instaura subito la legge marziale.
Il clima è insostenibile, le persone chiedono a gran voce libertà e democrazia ma sono solo parole al vento, in aggiunta la chiusura di molti poli universitari non fa che aumentare l’astio contro il nuovo “governo” e nello specifico nella città di Kwangju la rivolta si è presto trasformata in un bagno di sangue. Le autorità poi hanno provato, in parte riuscendoci, ad isolare la città dal resto della nazione facendo passare le vittime per rivoltosi violenti.
Terminata questa breve introduzione storica, possiamo senza indugio definire A Taxi Driver il perfetto esempio di blockbuster d’autore coreano; un film che riesce a richiamare esplicitamente il cinema impegnato della new wave anni Ottanta inserendolo in una cornice di genere, tipica del cinema coreano attuale e basti pensare al protagonista Kim Man-seob (un sempre immenso Song Kang-ho) la cui drammatica vicenda personale (vedovo con una figlia piccola da crescere in condizioni economiche precarie) si dipana parallelamente ad una vicenda collettiva.
A Taxi driver ha riscosso un successo clamoroso, non soltanto in patria, ed il merito principale va assegnato al regista Jang Hoon che ha saputo innanzitutto gestire e rappresentare egregiamente una vicenda storico-politica altamente scottante, aumentando gradualmente l’indice di drammaticità ed inserendo inoltre nel momento opportuno siparietti umoristici mai nulla fuori luogo (ovviamene avere come protagonista Song Kang-ho aiuta tantissimo).
Detto questo il film inizia presentando una struttura comica esilarante e rassicurante, e la simpaticissima sequenza con Song Kang-ho sembrerebbe confermarlo, a proposito il buon vecchio Song è impegnato a canticchiare in macchina la celebre hit locale Short Hair della leggenda trot-rock Cho Yong-pil. Fin qui nulla di strano tuttavia se prestiamo attenzione è possibile captare all’instante un particolare tasso di problematicità che si insinua sotto pelle. La città di Seul, magnifica metropoli è scossa dal regime militare ed in strada le rivolte sono all’ordine del giorno, oltretutto il quadro familiare borderline del protagonista non aiuta di certo.
Tecnicamente parlando invece Jang Hoon propone, almeno inizialmente, uno stile sobrio e quadrato, privo di guizzi registici ma comunque efficace; l’autore decide di affidarsi e concentrarsi quasi esclusivamente su Song Kang-ho, e lui lo sappiamo bene è in grado letteralmente di bucare lo schermo.
Il quadro generale incomincia a mutare nell’istante esatto in cui il reporter tedesco Jurgen Hinzpeter (Thomas Kretschmann) ed il tassista Kim Man-seob giungono Kwangju. Appena entrati in città l’atmosfera cambia drasticamente; dei dettagli di giornali comunicano il clima politico tesissimo con i cittadini stufi del regime militari; angoscianti anche le vie del centro cittadino, completamente deserte con tutte le saracinesche abbassate.
Ad ogni modo la prima sequenza davvero preoccupante riguarda l’arrivo in ospedale dei nostri due protagonisti. Jang Hoon piazza un breve piano sequenza con macchina da presa a mano che ispeziona un particolare reparto ospedaliero affollato di giovani, quasi tutti con ferite alla testa.
Lo stesso ospedale lo ritroveremo verso la fine del film ma questa volta le persone, oltre ad essere decisamente aumentate, si trovano a terra esamine.
Impossibile altresì non citare una serie di immagini suggestive e agghiaccianti con l’esercito (campo lunghissimi o inquadrature a piombo) in procinto di attaccare la folla, azione terrificante messa in scena sia con un’ottica semi-documentaristica sia con metodi leziosi ma incisivi confermati dallo slow-motion sui soldati che sparano, tra cui un particolare sulla mano pronta a premere il grilletto del fucile, oppure le soggettive sullo specchietto retrovisore del taxi atte riprendere una città distrutta e piena di cadaveri.
A Taxi driver comunque è anche un film emozionante e lo spirito di fratellanza della popolazione di Kwangju è davvero contagiosa ed il regista non lesina sulle situazioni spassose e divertenti.
Infine breve chiosa sul cast; i due protagonisti Song Kang-ho e Thomas Kretschmann non hanno certo bisogno di presentazioni, invece i meno avvezzi a tale cinematografia probabilmente non conoscono Yoo Hae-jin (il tassista simpatico ed dal cuore d’oro di Kwangju) ed Ryu Jun-yeol (il giovane interprete che sogna di diventare una pop star). Il primo è uno dei caratteristi più famosi e brillanti della Corea del Sud (cito solo The Flu, The Unjust, Veteranoppure Confidential Assignment) mentre il secondo è una giovane promessa in forte ascesa (co-protagonista del poetico Little Forest).
A Taxi driver è un blockbuster d’autore audace, ben diretto, e molto emozionante.
Voto: 8.5
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