Regia di Paolo Genovese vedi scheda film
Il botto di Paolo Genovese con il film precedente (Perfetti sconosciuti, grande successo internazionale venduto in ben 85 Paesi, la cui sceneggiatura riutilizzata in numerose nazioni e perfino a teatro in Argentina!) aveva fatto ben sperare ma i miracoli, si sa, è difficile ripeterli.
Il botto di Paolo Genovese con il film precedente (Perfetti sconosciuti, grande successo internazionale venduto in ben 85 Paesi, la cui sceneggiatura riutilizzata in numerose nazioni e perfino a teatro in Argentina!) aveva fatto ben sperare ma i miracoli, si sa, è difficile ripeterli. L’opera prende spunto da una serie televisiva statunitense ‘The Booth at the End’ e raccoglie le storie intime di un nutrito numero di persone più o meno con problemi personali, familiari, di ambiente.
Un film corale quindi, che si svolge solo all’interno di un bar ristorante dove c’è un uomo misterioso sempre seduto ad un tavolo con una grossa agenda su cui annota ogni cosa gli viene riferita da queste persone. Individui che si siedono uno alla volta come fosse il lettino di uno psichiatra, tutti alla ricerca di un aiuto – di ogni tipo di aiuto, psicologico o materiale, un consiglio, una forzatura – convinti o perplessi che questo (e questi) possa aiutarli a risolvere la situazione in cui si son trovati loro malgrado. Arrivano trafelati, già colmi d’ansia, nervosi, pretenziosi, speranzosi, afflitti, rassegnati, battaglieri. Insomma ogni personaggio ha un suo problema diverso, un carattere diverso, una situazione diversa, una possibilità diversa, ma un’unica speranza: che il misterioso uomo possa aiutarli. La natura del desiderio? Ricchezza, bellezza eterna, fede, sesso, salute, speranza. Alcuni semplici, altri ben complicati.
Il problema vero invece è che in meno di due ore vediamo sfilare la passerella di una decina di personaggi di cui è impossibile tracciare un vero profilo psicologico, difficile da approfondire. Se poi si aggiunge che ognuno di questi parla solo per qualche minuto (a volte qualche secondo) anche se a più riprese costringe lo spettatore a riprendere il filo del discorso tante volte interrotto. Qualcuno dei noti attori (è un eccellente cast di divi italiani) è stato capace di entrare bene in parte, altri molto meno, molti arrivano a sedersi su quella maledetta sedia di fronte all’uomo già belli e “cotti”, altri si “riscaldano” man mano, alcuni ben predisposti al personaggio da interpretare altri parecchio meno. Alla fine si può dire che Valerio Mastrandrea (l’uomo che riceve e consiglia) fa il classico Mastandrea e che su tutti si eleva un’attrice di razza teatrale (e si vede, anche perché è una vera pièce), la bravissima Giulia Lazzarini, una spanna sopra a tutti quanti.
Ma sia chiaro: troppo facile sedersi e chiedere l’aiuto. Ogni richiedente aiuto deve pagare un prezzo, e non di denaro, bensì molto spesso di comportamento da tenere da quel momento in poi o un impegno da assumere per il futuro. A volte facile e semplice, altre volte impegnativo o quasi impossibile. Accettare o rifiutare, senza compromessi.
Idea originale, certo: una sfida comunque per tutti. Ad iniziare dalla sceneggiatura, non male, fino alla regia, forse perfino facile date le circostanze ambientali: campo e controcampo continui, l’attimo giusto dell’espressione da raccogliere; la location intrigante è servita senz’altro. Quindi ritengo che la palla “pesante” era tra le mani degli attori, molti dei quali però son sembrati inadatti o poco entrati nel ruolo. Sono loro che dovevano riempire lo schermo con le loro storie personali e le loro bizzarre richieste, sono loro che dovevano tenere il ritmo elevato, mentre l’uomo li guarda senza batter ciglio, perfino annoiato, quasi per significare: “ma guarda questi, che tipi!”
Nel complesso manca però il colpo, la sorpresa, il guizzo: film che attrae sin dall’inizio ma poi, anche se ci si interessa all’evolversi del percorso richiesta-prezzo-soddisfazione si va verso un appiattimento che lascia la bocca insoddisfatta.
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