Regia di Paolo Genovese vedi scheda film
Nel bar The place un tizio passa le giornate incontrando sconosciuti che gli chiedono come risolvere i loro problemi. L'uomo consiglia di volta in volta azioni criminali o soltanto crudeli: uccidere, stuprare o far lasciare una coppia. Nonostante ciò non abbia alcun senso, i suoi interlocutori eseguono ciecamente gli ordini.
Se è molto, molto difficile fare un bel film con una brutta idea, è forse addirittura impossibile fare un brutto film partendo da una bella idea; quasi quasi The place riesce però a farci ricredere. Uno stuolo di nomi di primo piano per il cinema italiano di questi anni, un soggetto di successo, tratto da una serie tv americana (The booth at the end), un regista specializzato in commedie brillanti, reduce dal trionfo - discutibile quanto si vuole, ma tale sia per la critica che per il botteghino - di Perfetti sconosciuti (2016), cioè Paolo Genovese, che si occupa anche della sceneggiatura in tandem con Isabella Aguilar: eppure The place rimane ciò che è, un'incompiuta, un'operina striminzita farcita a più non posso di frasi fatte, luoghi comuni, amenità risapute ("Al carnefice resta solo la vittima": fabiovolismi a profusione) e puntualmente deludente quando tenta la virata verso il drammatico, l'inquietante. Chi è in realtà il protagonista? Il mistero è tanto fasullo, pregno di banalità e smontato dall'inconsistenza delle pieghe della trama, che alla fine della visione allo spettatore - si perdoni il francesismo - non può fregargliene meno di così. Sprecati gli interpreti di valore, a disagio quelli che avrebbero bisogno di una maggiore attenzione sul set, il capitale di cui dispone il film viene dilapidato ben presto: e dire che i presupposti parevano eccellenti, con Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Vinicio Marchioni, Marco Giallini, Rocco Papaleo, Alessandro Borghi, Silvia D'Amico, Vittoria Puccini, Silvio Muccino e Sabrina Ferilli. Soprattutto quest'ultima crea perplessità: complicato dire se sia più inverosimile per limiti suoi di recitazione o per la parte che le tocca interpretare; a ogni modo una barista così invadente e così totalmente avversa alla psicologia spicciola quotidiana non si è mai vista, nè in una pellicola, nè tantomeno nella realtà. Tacendo infine l'esasperante iperpresenza delle musiche, rimane solo da sottolineare che l'idea di partenza di fare un kammerspiel ambientato in un bar non era per forza destinata a fallire così miseramente, e per rendersene conto basti vedere El bar, girato pochi mesi prima da Alex de la Iglesia. 2/10.
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