Regia di Paolo Genovese vedi scheda film
Alte aspettative, occhi puntati su Paolo Genovese dopo l’inaspettato, quanto meritato successo di “Perfetti sconosciuti”, che non sono state disilluse. Già dalle prime inquadrature, che esaltano i dettagli attraverso la messa a fuoco di elementi non essenziali al racconto, ma che finiscono per caratterizzare il luogo dove tutto ha uno svolgimento e che poi è l’unico per tutta la durata; ciò finisce per arricchire la pellicola donandogli maggior spessore.
Genovese utilizza l’interno appartato di un bar, o per meglio dire di un angolo ristoro, e parte della veduta esterna, limitandosi alla facciata d’ingresso e a qualche metro di marciapiede. L’unica inquadratura a campo profondo e non poco sfocata di ciò che accade fuori, la osserviamo attraverso la vetrata alla sinistra di Mastandrea: un’ignota città uggiosa e trafficata, in un tempo indefinito.
Valerio Mastandrea è il punto di congiunzione tra i protagonisti, scelti con meticolosa cura dal regista romano avvezzo al cast corale che dirige con maestria. In una squadra composta per la maggior parte da comprimari abituati all’incursione della macchina da presa, è proprio Mastrandrea ad avere la meglio su tutti. La sua interpretazione apparentemente algida, è resa intensa da uno sguardo vuoto e smarrito in cui si perde anche la razionale Angela, interpretata ottimamente da una pluriespressiva Sabrina Ferilli. Eccelle Alessandro Borghi, interpretando il ceco Fulvio, disposto (quasi) a tutto pur di riacquisire la vista, quella oculare, a discapito di quella introspettiva, dell’anima. Sono i tre attori, tra tutti i protagonistiche riescono a spiccare sugli altri, tutti comunque degni di essere citati, che osano senza strafare.
Filo conduttore invisibile è il contorto destino di cui l’uomo, non è un caso che Mastandrea sia identificato semplicemente così anche nei titoli di coda, è in parte artefice; burattino di qualcosa di elevato che condiziona gli eventi.
Chiude quest’opera sublime un finale non scontato ma ambiguo, che lascia spazio a molteplici interpretazioni, proprio come nei film più sofisticati. Una conclusione concreta per ogni personaggio ma non ermetica, non incondizionata, bensì frutto di ogni singola mente umana capace di generare pensiero.
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