Regia di Paolo Genovese vedi scheda film
Il versante dialogico è limato con riguardo, ma rispetto a Perfetti sconosciuti l'attendibilità dell'intreccio si smembra sempre più.
È il diavolo? È un angelo? È un mostro che dà da mangiare ai mostri? È un uomo che approfitta del malessere di altri uomini o che vuole lenirlo? È solo l'aguzzino di una più vasta organizzazione o lavora in solitaria? Nel far proprio lo spunto a fondamento della serie americana The Booth at the End, Paolo Genovese non chiarifica nulla di questo personaggio barbuto e torvo in volto (Valerio Mastandrea). E in tale mistero stanno il fascino e la debolezza della sua figura e dell'intero film. La macchina da presa di Genovese allontana dall'inizio alla fine l'eventuale monotonia causata dalla ristrettezza di un luogo scenico (il tavolo del bar a cui siede Mastandrea) che virtualmente si dilata coi colloqui di costui con Marco Giallini brutale poliziotto e pessimo padre, Rocco Papaleo meccanico squilibrato, Alba Rohrwacher sensibile suora, Vinicio Marchioni nervoso papà di un ragazzo malato, Sabrina Ferilli gioviale cameriera... Il versante dialogico è limato con riguardo, ma rispetto a Perfetti sconosciuti l'attendibilità dell'intreccio si smembra sempre più (i buchi del copione del regista e Isabella Aguilar si trasformano presto in voragini), la promettente intenzione di puntare i riflettori sugli anfratti più repellenti dell'essere umano che vive in società si stempra nel buonismo dei troppi happy end e la chiusa è abbastanza tirata via. C'è da dire, però, che il cast è strabiliante.
Musica firmata da Maurizio Filardo e arricchita da un inedito (The Place) di Marianne Mirage.
Film DISCRETO (6) — Bollino GIALLO
VISTO al CINEMA
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