Regia di Paolo Genovese vedi scheda film
FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2017 - SELEZIONE UFFICIALE
"-Lei crede in Dio?
-Io credo nei dettagli"
"-Lei è un mostro.
-Diciamo che io do da mangiare ai mostri".
Queste ed altre domande (rigorosamente senza concreta risposta) sono rivolte da alcune persone che accorrono con una certa metodicità presso un bar con un'insegna luminosa rossa che lo fa riconoscere come The place, ad un cliente che, per tutto il giorno occupa un tavolino e ascolta quello che costoro gli raccontano e gli richiedono. In seguito, dopo aver consultato brevemente un'agenta tutta piena di scritte colme di correzioni, egli si pronuncia, come un sacerdote quando concede l'assoluzione, accompagnata da una penitenza. Che in questo caso, molto più che in quello della confessione, mostra una sua natura "da contrappasso", strettamente legata alla richiesta che di volta in volta il cliente rivolge a questo individuo misterioso.
Chi sia, se un santo o un diavolo, non ci è dato sapere (chi può realmente saperlo?).
Sta di fatto che, seguendo scrupolosamente la "penitenza" che è stata comminata, le richieste manifestate vengono esaudite.
L'idea di base, furbissima e molto scaltramente elaborata, poteva pure starci: è intrigante, misteriosa, permette si addentrarsi su differenti studi di caratteri e personalità, spiana vie creative per storie che potrebbero svilupparsi in modo davvero interessante.
Ma tutto viene sprecato malamente: quello che non ci sta affatto e rasenta l'insostenibile, l'assurdo ingiustificabile anche in un percorso di fantasia, è infatti la circostanza di quanto in The place sia "piccolo il mondo", e come il caso si piazzi a creare un improbabile "trait d'union" tra un cliente e l'altro. Circostanza che appare presto non solo forzata, ma anche altamente fastidiosa, imbarazzante.
E ancora, come ognuno degli attori coinvolti finisca, ognuno nella parte che gli è stata assegnata, per ridursi alla macchietta di se stesso, uguale allo stereotipo che di lui ci si può prefissare di ottenere sommando tutti i ruoli in cui ognuno di essi - attori od attrici - viene comunemente coinvolto: non uno degli altrove quasi tutti bravi attori coinvolti che si salvi dal comunicarci un senso di fastidio, di maniera, insostenibili.
Nemmeno Mastandrea, nel ruolo cardine della vicenda, che è si il migliore di tutti, ma che risente e soffre di tutto un atteggiarsi e di tic che finiscono per infastidire quasi quanto urtano tutti, ma proprio tutti gli altri attori coinvolti, davvero insopportabili nei rispettivi assurdi ruoli; inutile fare nomi: a mio avviso non si salva nessuno, e non certo per colpa loro.
E l'aria claustrofobica che si respira nel film, non è affatto un pregio di una pellicola letteralmente "girata attorno ad un tavolino", studiata, escogitata e pensata sin troppo accanitamente per replicare il precedente e ben più riuscito sviluppo corale del film di gran successo di Genovese, quel Perfetti sconosciuti decisamente meno ambizioso, molto più accomodante, ma compiutamente ben più riuscito e delineato nel suo anche qui composito intreccio di personaggi.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta