Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film
In attesa di capire cosa ne sarà dell'esperienza americana che oggi sembra volersi riprendere indietro sogni e opportunità che gli aveva regalato, Gabriele Muccino continua a dare sostanza al suo ritorno al cinema italiano. Se "L'estate addosso" era sembrato più una scusa per rimettersi a lavorare, cercando di tirarsi fuori dall'impasse provocata da una serie di progetti mai andati in porto, "A casa tutti bene" appare come una vera e propria restaurazione dell'universo mucciniano, non fosse altro che per il fatto di ritrovare Muccino in veste di sceneggiatore di un suo film dopo un'assenza durata ben otto anni ("L'ultimo bacio", 2008). Il che, per "A casa tutti bene", significa rafforzare una vicinanza con la materia narrata che, nello specifico, è destinata a essere non solo il frutto della propensione a raccontare un certo tipo di conflittualità, bensì la trasfigurazione filmica di un sentimento che lo chiama in causa in prima persona. Come altro leggere, altrimenti, la scelta da parte di Muccino di un copione cosi scontato come quello di "A casa tutti bene", se non quello di utilizzare lo schermo per riversarvi, a mo' di terapia, le vicissitudini famigliari emerse nel ripetuto scambio di accuse (pubbliche) con il fratello Silvio. Vale dunque la pena accennare alla trama, incentrata sulla riunione di figli e parenti organizzata da una coppia di anziani coniugi (Pietro e Alba) nei pressi della villa ubicata in un'isola di fronte al Lazio, così come sottolineare che, come al solito, il venir meno del quieto vivere all'interno del sodalizio è causato dall'eterogeneità caratteriale del nutrito gruppo di invitati e dalle fragilità delle rispettive condizioni esistenziali destinate a deflagrare nel momento in cui i nostri sono costretti a convivere per qualche giorno sull'isola a causa del maltempo che impedisce il movimento dei traghetti. Insomma cose già viste e risapute che però permettono a Muccino di ritornare sulla difficoltà dei rapporti famigliari ("Io sono cresciuto orfano, a me la famiglia mi sta sul cazzo!" afferma Pietro) e su temi come dell'impossibilità di vivere una vita normale ("Le vite normali non esistono" dice Alba, a cui presta il volto Stefania Sandrelli), da sempre in primo piano nella sua filmografia. A distanza di tempo e di lungometraggi come "L'ultimo bacio" e "Ricordati di me", Muccino sembra ritrovare sempre la stessa umanità, afflitta come Carlo, Paolo e Sara dalle insoddisfazioni di matrimoni finiti o mai iniziati, e per questo disposta a tutto pur di innamorarsi un'altra volta. In questo senso, la presenza di Stefano Accorsi e del personaggio da lui interpretato è esemplare. Paolo, infatti, rappresenta l'ultimo capitolo di una continuità sentimentale espressa indipendentemente dal ruolo ricoperto dall'attore bolognese, il quale, pur figurando nella parte che nel film del 2001 fu di Martina Stella, (single tentatore pronto a far girare la testa alla controparte), e lasciando alla bella di turno, tristemente maritata, quella del Carlo de "L'ultimo bacio", è destinato, comunque, a rimanere un personaggio a metà del guado, eternamente sospeso tra desiderio di trasgressione e voglia di normalità.
Semmai, come fattore di novità, c'è da registrare il ruolo tutto sommato marginale assegnato alla compagine adolescenziale e, più in generale, ai personaggi più giovani. Altrove al centro dell'attenzione, in questo caso il "come te nessuno mai" dei giovani fidanzati Luna ed Edoardo risulta marginale nell'economia della storia e viene utilizzato più che altro per esprimere un punto di vista critico e distaccato di fronte all'insensatezza del mondo degli adulti. In questo senso, anche la fine, con ciò che ne sarà dei rapporti (vecchi e nuovi) posti in essere durante la forzata convivenza, è indicativo di una crisi generalizzata di fronte alla quale si rimane attoniti come succede a Carlo (Pier Francesco Favino, uno dei tanti attori "mucciniani" presenti nel film) nella scena finale di fronte alle parole che gli rivolge la moglie prima di salire in macchina.
Allineato con il resto della sua filmografia, "A casa tutti bene" si porta dietro pregi e difetti del suo autore, i quali, in ordine sparso, sono quelli di una messinscena capace di non perdere di vista le (micro) storie relative ai molti protagonisti della vicenda e di un uso della mdp, la cui fluidità sembra ritornata a livello delle opere migliori. Qualità, queste, impoverite da un edonismo che prevale sul tentativo di scavare nelle psicologie, così come nella preferenza di soluzioni accattivanti ma stereotipate Prova ne sia in "A casa tutti bene" il ricorso sistematico a scene di gruppo in cui i personaggi si ritrovano a cantare sulle note del pianoforte suonato da uno di loro. Se è vero che il karaoke di alcune celebri canzoni è strumento drammaturgico capace di spezzare e prendersi una pausa dal crescendo di nevrosi e tensione, è altrettanto lapalissiano che una trovata del genere risolva nella maniera più facile e ammiccante la volontà di far risaltare la struttura corale della storia. E che dire, per esempio, della premessa narrativa costituita dalla "vacanza" sull'isola, in altri film (quelli di Guadagnino) capace di diventare un altrove in grado di sfruttare il fuori campo e di entrare in dialettica con la mitologia del paesaggio italiano e qui, invece, annullata da una regia, di fatto, interessata a girare solo in interni. Nessuno dice che "A casa tutti bene" sia un film da non vedere, perché almeno dal punto di vista dell'intrattenimento può soddisfare le aspettative del suo pubblico, ma come la mettiamo con il fatto che usciti dal cinema dello stesso non si ricordi più nulla?
(pubblicata su ondacinema.it)
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