Regia di Deborah Haywood vedi scheda film
Lyn è gobba, zoppa, indossa sempre una scarpa più alta dell'altra, e ha una figlia (Iona) in piena età puberale. Entrambe si trasferiscono in una nuova città, che sarà per loro l'inizio della fine: finiscono entrambe vittime di bullismo, sia da parte di adulti che da parte di giovani adolescenti (ragazzacci e ninfette assortiti), e in più non si prospetta affatto alcuna possibilità di riscatto. Pin Cushion prende le mosse dalla commedia indie americana, pur svolgendosi in Gran Bretagna (i modelli paiono essere Solondz e Zwigoff), ma la Haywood vanta quasi da subito, per fortuna, una sua forte identità registica rendendo il film stesso un freak come le due protagoniste, ricoprendolo di coriandoli, colori saturati ed eccessivi, musiche invadenti e ritmi grotteschi. La chiave della salvezza per Pin Cushion sembra proprio essere la rinuncia ad uno scontato approccio distaccato (in questi casi spesso copertura di un malcelato buonismo). Poche sono infatti le consolazioni, e molte le amarezze: il pietismo non raccatta consensi, ma stride in un'iperbole surreale. L'assoluta specificità del soggetto nega qualsiasi tipo di morale (se non eventualmente il riferimento al connaturato bisogno di affetto vero nella vita); piuttosto, si cerca di operare un'onesta immersione soprattutto sensoriale nell'infiocchettata ingenuità dell'inconscio delle due protagoniste, aprendo così alla possibilità della comprensione e dell'empatia le situazioni più potenzialmente ridicole (e si può ben dire che il film non ha paura del ridicolo). Così facendo anche la più tragica delle occasioni diventa suscettibile di irrisione: infatti i momenti più eversivi sembrano essere proprio quelli in cui anche noi tenderemmo a respingere il film, e con lui le due protagoniste. Ma non c'è direttamente voglia di indurre senso di colpa; solo, si lavora di emozioni primare ed elementari. E per quanto sia facile, non sempre è scontato.
Il film si conclude con l'esperienza della visione e non lascia tante gatte da pelare per la testa, però riesce a mantenersi nella sua tragicomica bolla di sapone isolante con una sua disperata dignità.
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