Regia di Ralph Bakshi vedi scheda film
Il regista è lo stesso del cartoon più rivoluzionario degli anni settanta, quel Fritz il gatto che fece capire come il cinema d’animazione non fosse monopolio esclusivamente infantile. Con questo spaccato di storia americana filtrata attraverso la musica, Bakshi aveva molti obiettivi: imprimere sullo schermo una saga famigliare che il cinema “reale” non ha mai osato realizzare per paura o non so cos’altro (anche mezzi, perché no); rendere omaggio ad un Paese che, in campo musicale, ha sempre captato le giuste emozioni delle persone; continuare il discorso sul cinema d’animazione “per adulti”; scrivere un film con l’aspirazione di essere un cult, magari larger than life. L’operazione è molto interessante, intrigante per la scelta musicale che spazia dal ragtime del primo novecento a Bob Dylan e Joan Baez fino ad accenni a Tony Manero senza dimenticare Jimi Hendrix – insomma, un grande pantheon social-musicale che è al contempo cornice e contenuto; ma, probabilmente per le ambizioni non contenute degli autori, il film risente di una sceneggiatura qua e là troppo didascalica e di alcuni personaggi disegnati senza approfondito scavo psicologico, quasi figurine di un album evocativo e microstorico (in una macrostoria). Ciò nonostante, American Pop è un’opera più che discreta con rari bei momenti: rimangono nel cuore l’uccisione in guerra di Benny (straziante), le visioni psichedeliche di Tony e Frankie, il bruciato e biondo Pete. Film sicuramente illustrativo, ma acido, sofferto, esangue.
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