Regia di Paz Fábrega vedi scheda film
La femminilità è un'anima che si fa strada, dolorosamente, attraverso il buio.
Donne sullo sfondo. Figure a margine di un mondo che gli uomini dominano, comunque sia. C’è spazio soltanto per le loro lacrime nascoste e salate, come una lingua di mare che invada un cunicolo, che imbocchi la cupa profondità di una grotta. Una bambina e una promessa sposa vivono sulla riva di un infinito che è un mondo proibito, ancora da esplorare, ma del tutto docile alla loro tristezza. Non si scompone, di fronte al loro nuotare lento e silenzioso attraverso un pianto selvatico, che bagna lo sguardo, che rende umida la notte, mentre un padre-zio ed un futuro marito, là fuori, vedono solo lo scontato splendore di un grande sole. Dell’emarginazione che non ha forma né un perché si può dipingere un ritratto plastico ed imponente, in cui sono i muti dettagli ai bordi, le inerzie degli istanti perduti, a dare tono alla scena: un languore bruciante e indefinito diviene allora il protagonista a tutto tondo di scene altrimenti sfuggenti, di azioni sospese, di momenti in cui lo smarrimento sembra costituire l’intera anima del racconto. Dentro questa storia costaricana a doppia faccia, che in un’estate fuori dal tempo si muove tra ricchezza e povertà, tra un amore apparentemente autentico e normale ed uno finto e sospetto, si annida un segreto veleno che, forse, in origine, era nato come un sogno, ed ora è dato in pasto alla volgarità di chi non riconosce i segni della sofferenza altrui. Qualcuno sta male, ma non si vuole capirne la reale ragione. Qualcun altro vorrebbe cercare la compagnia di un uguale dolore, ma è destinato a rimanere separato dal suo simile, perché i cuori in affanno non sono fatti per incontrarsi. I loro corpi si ammalano o si feriscono, si direbbe per caso, distogliendo l’attenzione dal problema vero, quello di cui non si può parlare. I serpenti, sulla riva, si lasciano mollemente trascinare dalle onde, mentre c’è chi li cattura e li sventra, li usa come oggetti, non li vede come creature sensibili, portatrici di vita. Sono costretti ad interpretare il ruolo dei mostri, di spregevoli simboli di una morte che si confonde con il sonno, ma è comunque la negazione di ogni cosa. La loro debolezza si fa giocattolo, nelle mani dei potenti. È un marchio infantile, come fare la pipì a letto per il disagio, come scavare buche nella sabbia, come dire bugie, scappare di casa, fare cose prive di senso per il puro gusto di ribellarsi ed inventarsi una libertà altrimenti impossibile. Il tormento si maschera da trastullo, per trovare un posto qualunque, in cui poter trovare rifugio, da cui far pesare il mistero della propria improvvisa assenza.
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