Regia di Riccardo Freda vedi scheda film
L’ingegner Pietro Vanzelli, condannato ingiustamente per l’omicidio di Renato Salvi, un intrallazzone che gli insidiava la moglie, esce di prigione dopo 15 anni ormai vedovo: si mette a cercare la figlia, che nel frattempo sta conducendo una vita grama, e intanto scopre che Salvi non è affatto morto e aveva architettato tutto per sparire dalla circolazione. Freda dirige un film molto interessante, per come usa Nazzari in un ruolo e una vicenda alla Matarazzo (un melodramma sviluppato in un lungo arco temporale), ma dando un tocco diverso: per fare un esempio di bella invenzione registica, gli anni in carcere non vengono inghiottiti da un’ellissi ma seguiti attraverso i titoli dei giornali, per mostrare visivamente come il mondo si è rivoluzionato dal 1936 al 1951. La storia è ispirata a un fatto di cronaca del 1922, però il soggetto è firmato da Monicelli: ci sono inverosimiglianze (Vanzella incontra per puro caso prima Salvi e poi la figlia, sfiorando addirittura l’incesto con quest’ultima) e incongruenze (perché non consegnare subito alla polizia il presunto morto, per farsi scagionare?), ma la macchinazione per incastrare Vanzelli è veramente ingegnosa. Vittorio Gassman fa il cattivo, come d’uso all’epoca; Arnoldo Foà è il pubblico ministero nella breve ma intensa parte processuale.
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