Regia di Alejandro Andrade vedi scheda film
Il percorso di questo bambino costretto a maturare prima e di più degli adulti che gli gravitano attorno, è portato avanti senza infamia ma purtroppo anche senza alcun guizzo degno - se non della lode - almeno di una particolare nota di merito che gli permetta di distinguersi da altri mille racconti di formazione.
Andy sogna in ralenti, poi si sveglia di soprassalto: sogni popolati da formiche aggressive che si insinuano ovunque impedendogli il controllo. A circa 12 anni, è timido e chiuso, e vive in simbiosi con la madre a Città del Messico. Una mattina, la tavola calda dove stanno mangiando viene attaccata da dei rapinatori, e un colpo di pistola partito ad uno di questi centra la madre, riducendola in condizioni disperate: mentre lei lotta tra la vita e la morte, con la seconda destinata a prevalere, lui viene provvisoriamente parcheggiato a casa della distaccata nonna paterna a Cuernavaca, in attesa di trasferirsi in Canada dalla zia, o nella speranza - tutta sua - che sia lo scapestrato padre a tornare a farsi vivo e portarlo via con sé.
Per il suo esordio sulla lunga distanza, il regista Alejandro Andrade Pease afferma di aver prima scelto il contesto e di averci poi cucito sopra una storia: il caldo tropicale di Cuernavaca, le formiche e la guaiava (un frutto tropicale tipico della zona), la villa così simile a quella che fu di sua nonna ai tempi in cui era bambino, hanno avuto un ruolo ben più decisivo che non la voglia di narrare le sventure del giovane Andy: forse un retaggio della propria ventennale attività di documentarista televisivo, probabilmente per un viscerale amore per quei luoghi; ma sta di fatto che la forza del racconto e la sua stessa urgenza sono esattamente ciò che in Cuernavaca fatica ad emergere.
I personaggi sono ben definiti ed hanno ruoli perfettamente funzionali allo scopo: (accanto allo sfortunato protagonista) c'è la nonna che va avanti a antidepressivi e che ancora piange e si ubriaca nel ricordo del marito suicida, c'è il padre ludopatico ed irresponsabile incapace ad assumersi la benché minima responsabilità, e c'è anche il nuovo amico, un carismatico perdigiorno di qualche anno più grande che è la quintessenza della cattiva compagnia: ma tutto appare talmente in ordine da esserlo troppo, anche in fatto di prevedibilità. E a completare un quadro nel quale buone capacità di regia finiscono annacquate in una sostanziale mancanza di ambizione, c'è il ricorso ad un onirismo elementare che, se per un po' affascina per semplicità, alla lunga stanca per ripetitività.
In conclusione, il percorso di questo bambino costretto a maturare prima e di più degli adulti che gli gravitano attorno, è portato avanti senza infamia ma purtroppo anche senza alcun guizzo degno - se non della lode - almeno di una particolare nota di merito che gli permetta di distinguersi da altri mille racconti di formazione.
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