Regia di Vincenzo Marra vedi scheda film
Notevole opera di Marra
Don Giuseppe è un giovane parroco,presbiteriano,che dopo aver svolto attività dl culto in qualità di padre missionario in Africa,si è dedicato all'esercizio del suo sacerdozio,in una piccola diocesi romana,tuttavia,in preda ad una profonda crisi e religiosa,concorda con un Cardinale amico il suo rientro nel paese natio,un piccolo paese nell'hinterland napoletano.Animato dalle migliori intenzioni
e motivato a portare sostegno ai fedeli, si ritrova immerso in un clima di diffidenza e di omertà, dove la malavita organizzata è padrona del territorio, perfino il campetto della chiesa destinato alla ricreazione dei bambini, è stato requisito"abusivamente" per ospitare una capra di proprietà di un potente capo clan,nemmeno le istituzioni ecclesiastiche del posto, si mostrano comprensive e anzi boicottano apertamente l'operato del prete che, scompagina l'equilibrio della piccola comunità .Allorquando scopre la sistematica violenza domestica perpetrata ai danni di una bambina di 10 anni , da un pedofilo compagno della madre ,nell'indifferenza generale,cerca in tutti i modi di salvarla,ma si scontra con una dura realtà,la palazzina degli abusi, è anche una grande piazza di spaccio ,unica fonte di reddito in posto maledetto,,dove non ci sono risorse e lavoro, dimenticato dagli uomini,da Dio e dallo Stato.Un uomo solo contro tutti e contro tutto, non può vincere,perfino Don Antonio il vecchio prete della parrocchia, che ritornerà poi al suo posto, lo rimbrotta severamente, perchè il suo agire controcorrente,ha fatto allontanare i fedeli e soprattutto ha minato la fragile stabilità di quel posto,si potrebbe pensare che è cattivo ma forse è solo pragmatico.
Ammetto di essermi accostato a questa splendida e cruda opera di Marra, con un certo scetticismo,in quanto ho visto tanti e troppi film di malavita,in salsa napoletana,tuttavia mi sono ricreduto,il lavoro del regista è notevole, sul piano della denuncia sociale e della iperrealistica rappresentazione di un territorio martoriato e senza speranze.Il pessimismo del regista è totale,senza riserve, li non c'è futuro.
Quando edoardo De Filippo 35 anni fa,disse,suscitando la reazione scandalosa di molti benpensanti dell'epoca,la famosa parola''Fuitivenne"aveva perfettamete intuito,da grande genio qual'era,l'ineluttabilità e l'irreversibilità, di una malattia che si stava diffondendo nei costumi e nelle consuetudini, della società meridionale,di una "intellighenzia" lontana dalla realtà, che pontificava tanto ,ma che lungi dall'essere propositiva, si autocompiaceva sterilmente,disilludendo colpevolmente le speranze dei giovani.Oggi come ieri dobbiamo prendere atto, che esiste una porzione di società malata,che come un tumore sta facendo metastasi dappertutto e che a fronte di grandissime potenzialità e umanità, non riesce però a scrollarsi di dosso,un atteggiamento passivo e vittimista,provinciale e meschino,dove ognuno si occupa del proprio orticello,ove per trovare un lavoro ci si deve impegnare a conoscere qualcuno che conta o buttarsi sull malaffare, per finire al camposanto o in galera, al limite emigrare,ma per sopravvivere alla men peggio,soprattutto bisogna imparare a "farsi i fatti propri"
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