Regia di Fausto Brizzi vedi scheda film
Il risultato di questa piccola rivoluzione si può valutare prendendo in considerazione il nuovo film di Fausto Brizzi, realizzato dallo stesso prima che le note disavventure gli togliessero la sacrosanta potestà del suo lavoro. Sequel del lungometraggio uscito lo scorso Natale, "Poveri ma ricchissimi" denuncia fin dal titolo una delle caratteristiche principali di questo tipo di prodotto che è appunto quello di una serialità a qualunque costo. Il che - vista la qualità delle serie tv - non sarebbe un male, se non fosse che la riproposizione di un contesto già conosciuto - quello della famiglia Tucci e del suo complicato rapporto con la ricchezza - non nasce dalla volontà di approfondire temi e personaggi ma, al contrario, di replicare il copione precedente con minime varianti e all'insegna della massima riconoscibilità.
Come tutto, in "Poveri ma ricchissimi", confluisca nel calderone delle cose trite e ritrite ce lo dice innanzitutto la trama. Brizzi infatti, con espediente tanto esile quanto funzionale alla maschera dei personaggi si inventa che la famiglia Tucci, capitana dal burinissimo Danilo (Christian De Sica platinato alla maniera di Donald Trump) sia chiamata a prendere in mano le sorti di Torresecca, il paesino laziale che dopo essersi reso indipendente dalla madre patria per ragioni fiscali ha bisogno di trovare chi sia disposto ad amministrarlo.
Che ne succedano di tutti i colori, e che il gioco da ragazzi sia destinato a rivelarsi più difficile del previsto era pressoché scontato ma il punto non è questo. "Poveri ma ricchissimi" infatti ricicla l'idea che era stata alla base di commedie come "L'ora legale" e di "Omicidio all'italiana", facendo di un microcosmo anonimo e provinciale il laboratorio scelto per replicare - opportunamente enfatizzate - le dinamiche esistenti su scala nazionale. A essere presi di mira sono dunque la politica e i suoi adepti, messi in scena dalle maschere caricaturali che di loro ne danno i vari De Sica (presidente del consiglio) e Brignano (adetto alla sicurezza), impegnati a mimare l'opportunismo e soprattutto l'incapacità messe in mostra nella vita reale dai nostri politicanti. Detto che anche "Poveri ma ricchissimi" non manca di sottolineare la tendenza italica al tradimento sessuale, questa volta virato al femminile grazie alla voluttuosità della first lady Lucia Ocone, rientra nell'elenco dei vari déjà vu anche quella predisposizione al viaggio che era stato l'espediente narrativo più utilizzato dagli episodi e che qui ritorna in quella vacanza da sé per la quale i protagonisti abbandonano (temporaneamente) la loro attività di ristoratori per rispondere agli incarichi costituzionali a cui vengono chiamati. Improntato a un buonismo senza confine, che giustifica le malefatte dei governanti con la difficoltà dei compiti istituzionali e depurato delle volgarità che un tempo facevano la felicità di grandi e piccini e che ora sembrano passate di moda, "Poveri ma ricchissimi" è un ibrido indeciso tra comicità e commedia, tra la volontà di far ridere e la necessità di rifarsi una reputazione. A pagarne lo scotto - e qui parla il critico a cui piace Allen - è il motivo del suo essere, e cioè, la capacità di tradurre la simpatia in risata.
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