Regia di Sofia Djama vedi scheda film
L'Algeria, come un po' tutto il nord Africa, è da sempre terra di confine, fra il fondamentalismo religioso e la laicità. Negli anni ha pagato con guerre e massacri questa continua oscillazione fra una tendenza occidentale e il mondo islamico più profondo. La giovanissima Sofia Djama si assume l'onere di raccontare l'Algeria post guerra civile, siamo nel 2008, e lo fa benissimo. Sceglie il Cinema corale, lascia che s'intreccino le vicende di varie famiglie residenti in Algeri, lascia che siano i loro volti, le loro storie, le loro ferite e il futuro incerto dei giovani, a parlare per l'Algeria. Ecco quindi la coppia di mezza età, figlia sopravvissuta di quelle lotte civili e democratiche, che oggi è spaesata, imborghesita, stanca, sull'orlo di una crisi di nervi, ed ecco i ragazzi dell'Algeri degli anni zero, pericolosamente senza radici e ideali, se non quello della radicalizzazione religiosa, che s'insinua fra gli spinelli e la musica punk. Poi ci sono i superstiti, come la giovanissima Feriel, (una splendida Lyna Khoudri, premiata a Venezia 2017 come miglior attrice nella sezione Orizzonti), che porta i segni fisici della violenza o suo padre, sconfitto dalla depressione dopo gli eventi che l'hanno segnato. Un film che mano a mano che si svela, diventa sempre più doloroso, profondo e importante, in cui lo smarrimento fa a pugni con la vitalità di una città che pare, nelle bellissime panoramiche, del tutto proiettata nel futuro. Non è un film facile, necessita attenzione e approfondimento, ma è un'opera di grande forza, con i meccanismi oliati perfettamente e una serie di attori eccellenti. E se si pensa alla giovane età della regista, c'è da rimanere stupiti e, soprattutto, fiduciosi nel futuro del Cinema d'autore.
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