Regia di Laura Bispuri vedi scheda film
Nella cornice di una natura aspra e selvaggia, tra desolate lande nuragiche,il richiamo ancestrale verso antichi reperti della fertilità è il pretesto per la ricerca di un ruolo sociale ormai smarrito,sempre in bilico tra l'emarginazione dei reietti ed il bisogno di integrazione.Finale affrettato ed improbabile agnizione di un epilogo consolatorio
L'estate dei suoi dieci anni è per Vittoria la scoperta istintiva di un sentimento che non aveva mai provato; divisa tra la rassicurante presenza di una madre amorevole ed il richiamo accattivante di una donna dalla vita sregolata che sembra somigliarle moltissimo. Quando il nodo dei suoi insoliti capelli fulvi viene finalmente al pettine, dovrà decidere da che parte far pendere l'ago impazzito del suo giovane cuore.
L'Estate di Vittoria
Lo so, la sinossi m'è venuta un po' più poetica del solito (o del dovuto), ma la seconda prova della regista romana reclama la sua brava dose di lirismo, proseguendo sotto l'indomito segno della Vergine la vocazione al racconto di un universo femminile costellato da giovani donne controcorrente, pronte a sfidare l'angusto retaggio di convenzioni patriarcali e mosse dall'incosciente coraggio delle outsider che, pensando di non aver più nulla da perdere, scoprono che c'è sempre qualcosa da guadagnare: una identità sconosciuta, una sorellanza insperata, una maternità ritrovata. Nella cornice di una natura aspra e selvaggia, tra scoscese selve balcaniche o desolate lande nuragiche, il richiamo ancestrale verso antichi reperti della fertilità è il pretesto per la ricerca di un ruolo sociale ormai smarrito, sempre in bilico tra l'emarginazione dei reietti ed il bisogno di integrazione, tra la fuga sognata verso una improbabile eden (la realtà metropolitana per la giovane Hana e l'illusione di un nuovo inizio per la sregolata Angelica) e il bisogno di accettazione da parte di una comunità con la quale è possibile instaurare solo relazioni meramente utilitaristiche (la pastorizia, il commercio dei cavalli, la disponibilità sessuale). In questo parallelo con il quale la Bispuri scrive le due storie (insieme alla sodale Francesca Manieri) si misura la credibilità di una poetica forte che non manca di fare ricorso agli espedienti di un realismo magico fatto di sottili suggestioni ambientali, al simbolismo di un istintivo rispecchiamento identitario (il rosso malpelo della narrativa verista) ed al nervosismo di una camera a mano che cerca un contatto fisico con i suoi viscerali personaggi. Ottime intuizioni che si scontrano però con il limite sempre presente di un racconto che gira spesso a vuoto, nel quale le lacune tra le vicende dei diversi personaggi (la coppia di genitori adottivi, il racconto di formazione della bambina, la vita borderline della donna trasgressiva) sono colmate dal difficile raccordo del montaggio, dal ricorso ridondante al flashback (il difficile parto di Angelica ed il segreto patto di Tina) e dal solito finale affrettato che accelera sul parossismo isterico delle tre donne in campo per poi chiudere con l'improbabile agnizione di un epilogo consolatorio. Bravissime le tre protagoniste femminili per un film che annovera tra le poche presenze maschili quelle del mite barbuto di Michele Carboni e del laido mercante di cavalli del sempre spiritato Udo Kier. Solo candidature non andate a buon fine, tra cui quella all'Orso d'oro al 68° Festival di Berlino, per un film fortemente penalizzato dalla ingenerosa distribuzione nazionale.
Amori steddu
Di tutte l'ore
Di petralana lu battadolu
Di chistu core
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