Regia di Laura Bispuri vedi scheda film
Intenso, delicato e forte, come il cuore delle tre donne che lo abitano
Rivalità e complicità, forme di relazione fra donne, una storia millenaria tesa fra sudditanza all’uomo che le divide e ritorno alle radici comuni che le unisce.
Dalle terre brulle e assolate di una Sardegna arcaica, dura, selvaggia Laura Bispuri raccoglie l’eco della loro solitudine priva di angeli:
Chi, se io gridassi, mi udirebbe mai dalle sfere degli angeli? (A.M. Rilke, Elegie duinesi)
Tina, Angelica e la piccola Vittoria, otto anni, la bruna, la bionda e la rossa, (la madre adottiva, la madre biologica e la figlia contesa) donne di un mondo costruito dagli uomini e dalla loro presenza minacciosa o inerte, di rado complice e generosa.
Bispuri non si adagia nel racconto, l’ellissi dà forza alla sequenza delle immagini, la musica irrompe dove le parole mancano o sono bisbigliate e si chiudono in un dialetto antico e impenetrabile.
Il focus è Vittoria (Sara Casu), disarmata condizione di bambina venuta al mondo per sbaglio, certo per caso, da un’ Angelica (Alba Rohrwacher ) fluttuante come un angelo caduto sulla terra fra uomini che la possiedono per pochi soldi, alcool e cavalli, una piccola mandria che ama e non si decide a vendere, benchè abbia bisogno di soldi per evitare lo sfratto dall’assurdo tugurio in cui abita.
Tina (Valeria Golino) è la donna bruna, solida, che quel giorno raccolse il parto di Angelica e ne divenne la madre.
Si possono mettere confini e dire questo figlio è mio?
Il buon Salomone dimostrò di conoscere bene le donne quando fece la sua proposta, non sappiamo come siano andate le cose in seguito, come sia cresciuto il piccolo oggetto di una transazione così definitiva. Sappiamo che la madre naturale si tirò indietro, non l’avrebbe mai voluto diviso in due dalla spada il suo piccolo. L’altra accettò e fu lì che Salomone capì.
Ma noi forse stiamo imparando a fare a meno di Salomone.
Vittoria è amata in modo diverso dalle due donne. Caratteri, scelte, o non scelte, di vita dovrebbero tenerle lontane, eppure entrambe sono divenute madri della stessa figlia, un utero l’ha concepita, nutrita per nove mesi e partorita con dolore, l’abbraccio dell’altra l’ha stretta come figlia per otto anni.
Può essere questa la differenza? Si può negare a una delle due il diritto di essere sua madre?
Ma, soprattutto, si può dire “mio” di un figlio?
Se questo significa negare quel diritto ad un'altra no, non si può, ma neppure se significa possesso, esclusiva, amore dovuto.
Tina a Angelica non sono per questo, hanno un legame solido, vengono da storie diverse che non sappiamo, chissà per quali strade si sono incontrate ma non importa, fino a quel giorno d’ estate tra loro c’era reciprocità, aiuto a tirare avanti, la dolcezza di Tina era ripagata dalla mitezza di Angelica, nella sua vita balorda la donna conservava amore sufficiente.
Ora però è Vittoria a cercare Angelica, a sentire quello che le somiglia perché è la madre che la natura aveva pensato per lei.
E Tina non crede di poterlo accettare, per un attino smette di essere la sorella, l’amica, diventa la rivale.
Ma in quel mondo povero, fra rocce e mare, nuvole di sabbia e pesca di sopravvivenza, dove la sera non resta che finire al bar con una birra in mano e la vita è dura fatica, c’è un croco che brilla in mezzo al polveroso prato.
E’ un amore che non cerca parole, appartiene allo splendido spazio del cuore femminile, non ha bisogno di nulla perché basta a sé stesso e si fa un baffo di leggi e convenzioni, cammina libero per la sua strada e insegna a tutti l’arte di amare
Come Vittoria, che cammina felice con le due madri al seguito, si toglie la maglietta sudata e scuote al sole quei meravigliosi riccioli rossi.
“ Su, muovetevi” dice alle donne, è lei la madre, ora.
Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.
Edoardo Sanguineti
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