Espandi menu
cerca
Le due vite di Mattia Pascal

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

Recensioni

L'autore

LorCio

LorCio

Iscritto dal 3 giugno 2007 Vai al suo profilo
  • Seguaci 145
  • Post 34
  • Recensioni 1625
  • Playlist 251
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Le due vite di Mattia Pascal

di LorCio
5 stelle

Mai del tutto fortunato col grande schermo, Luigi Pirandello si ritrova, nell’arco di un biennio, ad essere l’origine narrativa di un paio di lavori d’un certo rilievo, se non altro per i registi impegnati a trasporre le pagine scritte in fotogrammi. Se i fratelli Taviani scelgono coerentemente di approcciarsi all’attività novellistica ed ancestrale del Nobel (Kaos), Mario Monicelli prende il capolavoro Il fu Mattia Pascal e lo adatta alla sua natura grottesca. Scritto assieme a Suso Cecchi D’Amico, Ennio De Concini ed Amanzio Todini, nasce come sceneggiato televisivo in tre puntate ed ha conosciuto un passaggio festivaliero a Cannes in una versione ridotta. Spostata l’azione dal primo Novecento alla contemporaneità degli anni settanta ed ottanta, il film soffre essenzialmente della mancanza di una vera e propria voce al di là dell’ideuzza del passaggio temporale, che tuttavia appare stonata.

 

Alienata dalla contestualizzazione, si muove in un’Italia provinciale immobile e fuori dal tempo, fatta di paesotti pigri (la ventosa Liguria della prima puntata), mete turistiche idealizzate (Montecarlo ovviamente scintillante nella seconda e Venezia naturalmente decadente nella terza) e metropoli turpi (una Roma spogliata), in cui Mattia Pascal è interpretato come l’ennesimo vitellone cinquantenne colto da improvviso benessere e travolto da un insolito destino e Marcello Mastroianni non fa altro che accentuare la componente sorniona di un personaggio depotenziato della sua carica simbolica. Monicelli, che non pare affatto stimolato, complice la committenza televisiva che ne intorpidisce il ritmo dilatando, spiegando, ripetendo forse più del dovuto, vorrebbe intenderlo come l’ennesimo capitolo della sua commedia umana sull’epopea dei falliti: ne è venuto fuori un lungo e fiacco prodotto di discreto artigianato e indolente fervore, che conferma la crisi d’ispirazione del suo cinema dopo il definitivo Un borghese piccolo piccolo (al di là del curioso Temporale Rosy e del magnifico usato sicuro di Amici miei – Atto II) e prima dell’apparente rinascita segnata dallo splendido Speriamo che sia femmina, che in realtà è forse il sintomo di un declino più generale.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati