Regia di Tim Burton vedi scheda film
Lo stile di un regista può essere considerata un arma a doppio taglio; oltre che consentire di identificarlo, può anche arrivare ad essere una condanna. E’ il caso di Tim Burton e del suo amato/odiato stile dark che finisce per firmare ogni sua pellicola, rendendola unica nel suo genere. Quando ciò non accade, lo spettatore finisce per essere spiazzato e si ritrova quasi spaesato a guardare qualcosa di diverso da ciò che si aspettava.
Dumbo, rispecchia in pieno questa fase poco iconografica che il regista sembra aver intrapreso da qualche tempo, quasi a voler rendere i suoi lavori non più rivolti a pochi ma destinati ad un pubblico più ampio; stufo forse di essere incompreso o semplicemente in vena di sperimentare qualcosa di diverso. Resta il fatto che l’ultima pellicola del regista americano lascia, ogni suo fan, con l’amaro in bocca.
Pur mantenendo di base la fotografia in cui prevalgono le tinte cupe, anche quando dovrebbero essere i colori pastello a farla da padrone, tutte le restanti caratteristiche tipiche delle sue pellicole, non sono pervenute.
La scelta di “rivisitare” la fiaba Disney, di scegliere proprio la storia dell’elefantino dalla orecchie grandi, è consona al modo di fare cinema di Burton; prendere un soggetto emarginato, deriso, e renderlo protagonista assoluto, ridicolizzando coloro che gli stanno intorno, avvolgerlo dell’empatia degli spettatori e donargli quell’affetto di cui mai è stato oggetto, è tipico dei film di Burton, scorrete la sua filmografia e mi darete ragione.
Il fatto di farlo non estremizzando le tinte dark a cui tanto è affezionato, è il chiaro segno di aver impostato la pellicola su un livello adattabile a tutti, in primis alle famiglie. E’ evidente che Tim Burton abbia scelto, si spera volontariamente, di non storpiare la fiaba Disney ma di trasformala in toto in un film non solo per adulti, non considerando che, lasciare in panchina il suo stile, non solo avrebbe scontentato i suoi fans ma avrebbe finito per rendere la pellicola stessa uguale a qualunque altra di un qualsiasi altro regista; spogliandola insomma di una caratterizzazione.
Una visione piacevole per le famiglie e gli spettatori poco esigenti; che non ha nulla di entusiasmante, che possiede una sceneggiatura che rallenta in diversi punti spazientendo il cinefilo pretenzioso, soprattutto colui a cui piace lo stile di Burton e che qui finisce per ricercarlo senza quasi mai trovarlo. Nota di merito a Michael Keaton che nei panni dell'impresario senza scrupoli, V. A. Vandevere incanta chi guarda donandogli sprazzi di felcità.
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