Regia di Alessandro Genovesi vedi scheda film
Facile, troppo facile sposarsi a Berlino, quando ci si chiama Antonio e Paolo e la cerimonia vuole suggellare tutto quello di positivo che esiste in una bella storia d’amore di coppia che guarda alla persona e non al sesso dei reciproci elementi che ne costituiscono parte integrante.
Ma visto che Paolo soffre per non essere messo in condizione di conoscere la famiglia del suo innamorato, per sfida quest’ultimo decide di portarlo a casa dei genitori, nei dintorni di Civica, per rendere edotti i parenti del sentimento che unisce i due.
Peccato che il padre Antonio, sindaco progressista (ma solo a parole) dell’ameno borgo, non ne voglia sapere di quella unione, tanto più quando scopre che sua moglie intende benedirla solo a patto che si celebri con un matrimonio in grande stile e che l’officiante sia proprio il padre-primo cittadino.
Crisi coniugale da parte della vecchia coppia, crisi sentimentale dei futuri sposi quando si intromette la tendenziosa ex fidanzata di Antonio, ad insidiare le già complicate dinamiche di una celebrazione che nell’Italia della tradizione, appare come una eresia pronta a sottoporsi a pettegolezzi e malizie di ogni genere.
Nemmeno l’intervento salutare di un francescano fuori dagli schemi (Antonio Catania, il migliore tra gli attori coinvolti, assieme a Dino Abbrescia, a tratti piuttosto divertente nel ruolo dell’amico sconvolto da crisi di identità), riuscirà a rendere facile un percorso celebrativo che sembrerà un calvario, almeno per entrambi gli sposi.
Alessandro Genovesi tenta di aggiungere una tematica seria, attuale, forte, al suo stile consueto di ricondursi agli scontati margini di una commedia facile e di costume, sfruttando – purtroppo – tutti i cliché e le situazioni, geografiche e folkloristiche, di una Italietta finta e cabarettistica, che pretende di ricondursi e risolversi entro i limiti fittizi di una cornice falsata, da bel paese tutto graziosità fasulle, ma di fatto posticcia, irreale, solo vezzosamente scenografica e tipica di un inganno da situazione idilliaca, da favoletta fragile, puerile, superficiale, entro i costumi ormai dilaganti della inflazionatissima commedia commerciale apparentemente innocua ma di fatto micidiale, che affligge molto della nostra produzione cinematografica attuale, ormai nemmeno più baciata da un successo scontato.
Un finale frettoloso, trascinante e a suon di musical genera brividi iniziali di orrore, che tuttavia alla fine aggiustano un po’ il tono ad una farsa facile e piuttosto indigesta, all’interno della quale anche due attori navigati come Diego Abatantuono e Monica Guerritore, si muovono con un certo tendenziale imbarazzo.
Meglio allora i due ragazzi protagonisti, Salvatore Esposito e Cristiano Caccamo, anche quando in ostaggio di quella terrificante macchietta di Enzo Miccio, emblema di una tv spazzatura che contagia pure certo cinema di poco conto.
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