Regia di Benoît Jacquot vedi scheda film
CINEMA OLTRECONFINE – LE PRINTEMPS DU CINEMA 2018
Un giovane badante con ambizioni nella scrittura si trova ad assistere alla morte dell’anziano celebre scrittore che accudisce, e che prova una attrazione potente nei confronti del suo giovane aiutante. Poco prima l’uomo gli aveva accennato della sua ultima opera, ancora in fase di prima scrittura, tutta su carta.
Ripresosi da quella morte accidentale in bagno, il ragazzo ha l’accortezza di portarsi via il manoscritto, gettando nella Senna il pc portatile del vecchio.
Poco tempo dopo ritroviamo il bel Bertrand ricco, famoso, attorniato dal suo editore che, pur soddisfatto del successo commerciale del suo primo romanzo, ora inizia ad incalzarlo per avere qualcosa di concreto circa la sua opera seconda, per la quale tra l’altro egli ha ricevuto già un lauto anticipo. Una sera il ragazzo, nell’atto di raggiungere lo chalet di montagna dei suoceri per trovare la concentrazione per scrivere, scopre in casa due ospiti, rifugiatisi a causa della loro auto in panne.
Ivi conosce la misteriosa Eva, donna non più giovane ma attraente, che esercita sul ragazzo un’attrazione potente e incontenibile.
Questo incontro sarà l’inizio della sua fine, almeno dal punto di vista della sanità ed indipendenza mentale ed intellettiva. La donna, prostituta d’alto bordo con un marito in carcere, finirà per circuire l’ingenuo truffatore, spolpandolo economicamente, negli affetti più privati ed intimi, e pure a livello psicologico.
Benoit Jacquot, regista quasi sempre interessante, ambisce a qualcosa in più di un semplice remake del celebre film di Losey dei primi anni ’60: sposta l’arte creativa che nel primo film interessava pure il cinema, ad un ambito strettamente letterario e costruisce e cuce con una certa inventiva una fitta trama gialla che tuttavia si riempie di connotati e strade narrative spesso lasciate abbandonate a se stesse o incomplete.
Il risultato è, purtroppo, un mezzo fallimento, all’interno del quale Jacquot ahimé sembra sbagliare tutto: l’incipit malizioso ed accattivante, tutto nuovo ed inedito rispetto all’originale di Losey, si perde sul più bello svilendo completamente la circostanza morbosa che conduce al decesso improvviso di quello che diviene suo malgrado, per il protagonista, un ricco benefattore; Isabelle Huppert nei panni di Eva è truccata e vestita come una sado-lolita, ma pare una caricatura di una bambola meccanica, ingessata e quasi bloccata, pur se non proprio a suo agio con l’ennesimo personaggio tutto ombre e poche luci che si inserisce coerentemente nella sua mirabile carriera di dark-actress. Ma questa Eva spuntata per caso, come del resto quella originaria della Moreau, appare un’aliena in qualsiasi contesto la si voglia incasellare: prostituta scaltra e avida, moglie a suo modo fedele e autrice di un complotto sadico quanto deliberato; mantide vendicatrice inviata da una provvidenza giustizialista e senza clemenza alcuna.
Il bel tenebroso Gaspard Ulliel risulta una scelta ben calibrata, probabilmente la migliore della pellicola, per quanto insufficiente a colmare le mille lacune e perplessità che il film genera sullo spettatore nel corso della intricata, improbabile vicenda.
Pure i personaggi di contorno brancolano nel buio, schiavi di un contesto viziato da contorni improbabili e prefabbricati, di assai facile demolizione: l’eterea fidanzata del nostro sventurato protagonista, interpretata dalla bella ed angelica Julia Roy, si circonda di contesti familiari e logistici davvero fragili o poco plausibili. Ancor peggio accade al personaggio dell’editore del nostro ladro di manoscritti, francamente imbarazzante anche se nelle mani di un professionista come Richard Berry.
Il ricordo della Venezia plumbea ed evocativa dello smarrimento umano senza soluzione presente in Losey, è un miraggio lontano, e il film, che rifiuta in qualche modo orgogliosamente di ridursi ad un semplice remake, si impiastra qua e là di intrighi che complicano inutilmente una matassa assai troppo difficile da sbrogliare, facendo precipitare il film in un pasticcio senza un vero costrutto.
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