Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Credo che alla base delle numerose critiche negative a questo film vi sia un increscioso equivoco, un'interpretazione prefabbricata del pensiero politico (che certo non condivido) di Clint Eastwood. Non un capolavoro, ma neppure un'opera da buttare alle ortiche.
Se l’intenzione di Clint Eastwood era quella di magnificare le gesta eroiche dei tre cittadini americani finiti sotto i riflettori nell’agosto del 2015, con il sottoscritto è cascato proprio male. Resta però da capire quale fosse il suo reale obiettivo. Ribadire il suo attaccamento patriottico e la sua fede repubblicana nelle istituzioni a stelle e strisce? Forse, ma ad un cineasta talentuoso come lui non poteva certo bastare. O che abbia voluto esaltare le virtù della formazione e preparazione delle giovani generazioni di yankees destinati a portare nel mondo la “pax americana” a suon di guerre? Forse anche questo, ma in tal caso, a mio modo di vedere si è dato la classica zappa sui piedi. Fin dalle prime scene, infatti, con il racconto di episodi dell’infanzia dei protagonisti, Spencer Stone, Alek Skarlatos e Anthony Sadler, salta agli occhi che siamo in presenza di ragazzini particolarmente cretini, maschietti di classe sociale medio-bassa, di livello culturale bassissimo, affascinati dalle armi e dal militarismo più becero che si possa immaginare. Come se non bastasse, il seguito delle loro biografie dimostra che si tratta di tre falliti, sia umanamente che nelle rispettive carriere. Il primo non riesce a farsi ammettere nel corpo militare cui aspirava e deve accontentarsi di un arruolamento di basso profilo, un ruolo di retroguardia nel quale si sente frustrato. Il secondo finisce in Afghanistan dove si annoia a morte e sente svanire i suoi infantili sogni di gloria. Del terzo si racconta ben poco. E’ un giovane di colore, non intraprende la carriera militare e si ritrova sulla scena dell’attacco terroristico solo perché in quel momento stava viaggiando con i suoi amici. Già: l’escursione turistica dei tre gaglioffi in Europa è secondo me la parte più riuscita del film, anzi la più comica e la più eloquente nel mostrare la vacuità di tre bambinoni che si aggirano nel Vecchio Continente come se si trovassero a Disneyland: luoghi comuni, entusiasmo beota di fronte a siti e monumenti obbligati, cecità culturale assoluta e frenesia del “selfie” con tanto di stecca. Qualche esempio: davanti al Colosseo uno dei tre se ne esce con un “Wow! Ma come avranno fatto per costruirlo?”. Mi ha ricordato un conoscente americano che accompagnai in giro per Roma negli anni ’70. Giunti davanti alla basilica di San Pietro, mi chiese stupefatto: “Ma è stato fatta a mano?”. Più avanti, dovendo decidere se annullare o no la tappa parigina del viaggio, un altro spara: “No, come posso rinunciare al mio «selfie» con la Torre Eiffel?”.
Clint Eastwood, dunque, avrebbe realizzato un film biecamente patriottico e reazionario, sostenendo che, in situazioni eccezionali, persone cosiddette normali possono trasformarsi in eroi grazie alla sana educazione e formazione che hanno ricevuto. Eppure, nella prima parte del film, la descrizione dell’ambiente sociale e scolastico in cui vivono i tre futuri eroi è tutt’altro che lusinghiera: istruzione religiosa e conformista, sistemi autoritari arcaici e mancata comprensione della psicologia delle nuove generazioni. Un ottimo vivaio, non c’è che dire! Nella fase dell’attacco terroristico, poi, ad intervenire non sono soltanto i tre Americani, ma anche altri due anonimi passeggeri non meno coraggiosi, uno dei quali viene gravemente ferito. Ai tre protagonisti resta allora da fare l’unica cosa per la quale sono stati formati: menare le mani. Per fortuna di tutti gli altri viaggiatori, mi viene da dire. La stessa fortuna da cui è baciato Spencer Stone quando si scaglia contro il terrorista al quale l’arma s’inceppa.
Nella seconda delle tre parti in cui il film è suddiviso, assistiamo alle peripezie e alle difficoltà in cui s’imbatte lo sprovveduto Spencer Stone durante l’addestramento militare. Altro che esaltazione dell’apparato bellico americano! Le atmosfere da caserma, la brutalità e l’ottusità delle gerarchie militari mi hanno addirittura ricordato la straordinaria ricostruzione che ne realizzò Stanley Kubrick con “Full metal jacket” nel 1987. La stessa cosa vale per l’esperienza di Alek Skarlatos in Afghanistan. La testimonianza sulla sua presenza in terre sconosciute, dove vorrebbe combattere (lo scemo!) e deve invece fare i conti con la noia senza capire il senso di quella guerra, non è certo un’adesione ideologica al rovinoso intervento americano. Infine, la retorica. Certo, viene profusa a piene mani nella scena finale con la consegna della Legion d’Onore agli eroici salvatori, ma è tutta nelle doverose e inevitabili parole dell’allora Presidente François Hollande. I tre decorati fanno scena muta, né credo avrebbero saputo cosa dire. Silenzio anche da parte di qualsivoglia autorità statiunitense. Anche l’accusa di eccessiva retorica mi sembra quindi cadere nel vuoto. In piedi resta solo il film di Clint Eastwood, un film minore rispetto a svariati capolavori, ma opera di un regista che il cinema lo sa fare. Il ritmo è spedito, la regia accurata e l’idea di far recitare i veri protagonisti della vicenda si rivela efficace, quasi a dimostrare che un certo tipo di istruzione e formazione sforna veri e propri automi, più che persone adulte. Clint Eastwood non ce ne aveva forse già parlato in “American sniper” nel 2015 e non tornerà sullo stesso tema con “Richard Jewell” nel 2019? Purtroppo, penso che molte critiche negative a questo film siano state ispirate più da convinzioni ideologiche (peraltro condivisibili) che non da una visione spassionata e obiettiva dello stesso.
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