Regia di Roy Ward Baker vedi scheda film
Una piccola e simpatica antologia di pittoreschi mostri: se è vero che la favola nasce nel punto in cui l’horror incrocia il mélo, ed il romanzo dove gli elementi biografici si fondono con la poesia, queste tre storie offrono un modesto, ma efficace, campionario dei più tradizionali generi narrativi, delicatamente stemperato in quel margine indistinto che separa la normalità dalla stranezza. Il tema del vampiro viene arricchito di fantasiose varianti ed inquadrato in una dettagliata teoria genetica, il che fornisce all’opera uno sfondo fantascientifico di stampo antico, anteriore al gusto dei viaggi spaziali, ed immerso nella suggestione ottocentesca dei musei degli orrori. Questo romanticismo tinto di macabro, in cui il trucco di scena è un look da oltretomba, ben si coniuga ai siparietti rock con cui la trilogia è inframmezzata: l’ambiente del Monster Club, oscillante tra il chic e l’underground, sceglie, come colonna sonora, quel registro musicale che è sentimento tradotto in teatralità rabbiosa e spregiudicata, e fa spettacolo più col corpo che con la voce. In fondo l’horror è gioco di carne, portato alle estreme conseguenze, con la morte che viene seminata, coltivata, mietuta e ripiantata, tra zombie e cadaveri, necrofili e cannibali. Eppure, in questo film, l’argomento perde la sua atrocità, per diventare, in maniera vagamente scherzosa, il monumento all’incubo rivisitato alla luce della ragione, che si rivolge alla paura con la stessa passione intellettuale con cui si dedica ai misteri della natura e agli enigmi della storia.
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