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Dede

Regia di Mariam Khatchvani vedi scheda film

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La recensione su Dede

di Peppe Comune
8 stelle

Dina (Natia Vabluani) vive in un piccolo paese dell’entroterra montuoso della Georgia. Il nonno ha deciso per lei che dovrà sposare David (Nukri Khachvani), un ragazzo del luogo partito soldato. Quando ritorna dalla guerra, con lui c'è il suo migliore amico, Gegi (George Babluani). Dina non ha mai provato nulla per David, e non intende sposarlo. Viene invece subito attratta da Gegi, di cui si innamora ricambiata. In un paese retto dalla volontà decisionale degli anziani e regolato dal rispetto acritico di tradizioni ancestrali, basta questa sincera esposizione dei propri sentimenti da parte di Dina per innescare un susseguirsi di fatti tragici.

 

George Babluani, Natia Vibliani

Dede (2017): George Babluani, Natia Vibliani

 

Ambientato tra i monti innevati della Georgia, “Dede” di Mariam Khachvani racconta della ribellione solitaria di Dina, una ragazza che si rifiuta di non aderire alla purezza dei suoi sentimenti più veri. La storia si svolge in un mondo chiuso in sé stesso, a difesa delle sue tradizioni ancestrali e di equilibri comunitari consolidati.  Un mondo dove si rispettano leggi antiche come il mondo perché si ritiene che solo queste sanno dare rispetto. Siamo agli inizi degli anni novanta, ma sembra essere in un tempo antico tanto e persistente la protervia maschile e tanto e remissivo l'atteggiamento delle donne. A fare da sfondo c'è un ritratto antropologico della regione che fa presa per la nitidezza con cui viene rappresentato. Fatalismo religioso, riti propiziatori e stratificazione gerarchica dei ruoli sono tutti aspetti che confluiscono in un'organizzazione familistica della società incentrata sull’incontrastato potere degli anziani. Loro pretendono di agire nel bene di tutti perché ritengono che solo nel rispetto delle secolari tradizioni è possibile garantire la quiete sociale. Ogni intralcio alla conservazione di questo equilibrio genera delle scosse telluriche irreversibili. Perché, derogare dall’assumere comportamenti rigidamente canonizzati, non può non innescare un circolo vizioso secondo il più classico schema “dell’occhio per occhio dente per dente”.

È in questo quadro che l'autrice georgiana fa emergere intrecci comunitari da “tragedia greca”, con la violenza che diventa il logico corollario di un mondo che, prima di ogni altra cosa, tende a salvaguardare la sua onorabilità. Il senso del tragico è infatti il dato maggiormente caratterizzante del film, che si fa luce indipendentemente dalla concatenazione dei fatti luttuosi. Lo si può definire un dato fenomenologico in quanto iscritto nella morfologia stessa dei luoghi : nell’asprezza verginale del territorio, nelle ispide cime innevate, nel rapporto simbiotico vissuto dagli uomini con le armi da caccia, nella durezza del lavoro, nella virilità che non può accettare cedimenti di sorta, nelle litanie salmodianti delle anziane, negli occhi abbassati delle donne, nell’amore che non sa amare degli uomini.

Si racconta della ribellione solitaria di Dina si diceva all'inizio, una ragazza che ha il coraggio di ammettere prima di tutto a sé stessa che l'amore che porta nel cuore è il frutto di una sua scelta consapevole e non è determinato da imposizioni sociali. Una scelta che con la sua naturale semplicità entra in aperto contrasto con abitudini consolidate che si vorrebbe indissolubili. Perché è proprio l'esposizione sincera dei sentimenti a mettere in crisi chi, all'ascolto del cuore, ha sempre anteposto il rispetto acritico degli ancestrali equilibri comunitari. E le sofferenze e i lutti conseguenti da ogni inosservanza alla norma sono il frutto deterministico di questa orgogliosa difesa della propria integrità morale. Dina vorrebbe solo amare il suo uomo, ma è stretta nella morsa di un mondo dove gli uomini hanno un modo tutto loro di dichiararsi amanti per la vita. Un mondo che contempla l’esercizio ostentato della loro virilità per ribadire in ogni istante la propria superiorità sociale. Per non sentirsi mai in debito con niente e con nessuno

Il finale è molto bello, a dimostrazione che non è la cattiveria in sé a muovere le azioni degli uomini, ma la comprovata impossibilità a scrollarsi di dosso il peso di un antico retaggio culturale. Un finale che riesce ad addolcire tutte le asperità della storia senza apparire minimamente retorico. Un buon film.

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