Regia di Mathieu Turi vedi scheda film
Struggente love story inserita in un contesto post apocalittico. Esordio in regia, eccessivamente pluripremiato ai festival di settore. Dalla Francia un curioso (bel) film che simboleggia come la new wave horror di una decina d'anni fa sia ormai estinta.
Juliet (Brittany Ashworth), nel tentativo di sopravvivere dopo una catastrofe scatenata da un attacco chimico a New York, fa parte di un nucleo di superstiti. Un incidente con la jeep sulla quale sta guidando, le provoca una grave frattura ad una gamba, lasciandola in balia di un contaminato. Di notte, sola, al riparo della vettura, Juliet deve fare i conti anche con la memoria, che dolorosamente la porta a ricordare il suo incontro (e successivo matrimonio) con un affermato critico d'arte di nome Jack (Grégory Fitoussi).
Sotto l'ala protettiva da Xavier Gens, qui coinvolto in ruolo di coproduttore, il francese Mathieu Turi, dopo un paio di cortometraggi, esordisce in regia con questo pseudo horror (di sua sceneggiatura) girato a New York, con un medio budget di circa 1.200.000 dollari. Sorprendentemente, dato il tradimento di genere, Hostile fin da subito fa incetta di riconoscimenti ai vari festival del settore (19 premi e 75 nomination). Eppure, come horror, il film non funziona per nulla. Non genera tensione, non presenta gli elementi basilari del brivido e anzi, si pone al limite del genere. L'incipit segue la brutta tendenza di introdurre un ambiente da fine del Mondo, senza che venga data una minima spiegazione del perché. Debole, prevedibile e brutto come horror, definizione che ci sta (male) solo per la scarsa presenza di un cannibale deforme e contaminato che nel twist finale svelerà -con un deciso pugno allo stomaco dello spettatore- la sua reale identità. Per fortuna Mathieu Turi abbandona quasi subito il percorso avviato similmente ad un qualsiasi A quiet place, per poi procedere con una narrazione parallela, ad incastro con flash back, sulla tormentata esperienza di vita di Juliet: ragazza problematica, tanto bella quanto persa nella miseria della tossicodipendenza. E qui il film impenna, trovando nel registro melodrammatico, il suo vero senso e motivo d'essere.
La bravissima Brittany Ashworth tiene costantemente -e con grazia- la scena, che le viene raramente ma con decisione, rapita dall'altrettanto eccezionale Grégory Fitoussi. E, a nemmeno metà film, Hostile diventa tutta un'altra cosa, mantenendo pure nel titolo un suo secondario significato, che è quello delle inevitabili ostilità o incomprensioni che sorgono in ogni coppia. L'horror, che non c'è e men che meno ci sarà anche in chiusa, lascia spazio ad una straziante love story, una nera, pessimista e inconciliabile (tra la ragione e la tossicodipendenza) rappresentazione del "male di vivere" o, meglio dato il contesto, di sopravvivere.
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