Regia di Pupi Avati vedi scheda film
La cosa migliore di questo film è il coraggio di Avati di proporre un ritratto del grande musicista salisburghese, proprio a ridosso dell'uscita del miliardario kolossal di Milos Forman "Amadeus" (1984).
Qui si narra di un viaggio del giovane Amadè nei pressi di Bologna, per prepararsi all'esame di compositore presso una prestigiosa accademia musicale felsinea. Per tre mesi il giovane prodigio austriaco, già circondato di una gran fama di musicista geniale, fu ospite della villa del Conte Pallavicini insieme al padre. E qui conobbe, secondo la ricostruzione del regista e dei suoi sceneggiatori, l'amicizia e il primo amore, tanto da cercare, inutilmente, di sfuggire al suo destino di genio, sbagliando di proposito l'esame finale.
Se "Amadeus" incentrava l'attenzione sul rapporto tra genio (Mozart) e mediocrità (Salieri), qui Avati pone l'accento sull'impossibilità del genio di sfuggire al proprio destino: per essere veramente grande, Mozart dovette rinunciare a tutto quello che era tipico dei ragazzini dell'epoca, il gioco, l'amicizia, l'amore. E non è da sottovalutare neanche l'elogio proprio dell'amicizia (non a caso anche il rapporto amoroso è a tre, non condito da gelosie), cento volte più sincero che in "Ma quando arrivano le ragazze?" (2005), che si fa struggente nel momento del saluto, percepito come estremo. Purtroppo l'insieme è esilino, indebolito da qualche macchietta inutile di troppo, come quella del cugino matto, e ingentilito dalla presenza del giovane Nik Novecento, simpaticamente e pateticamente sbruffone.
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