Regia di Tom Volf vedi scheda film
Voce di una donna libera, estremamente intelligente, appassionata, semplice, capace di amare e di soffrire, certo mai di odiare, la sua arte era quello che lei sentiva come un dono divino e dunque un dovere, qualcosa a cui sacrificare tutto.
“He raised a mortal to the sky, she drew an angel down”
John Dryden, The power of music
Maria Callas era la perfezione, la sua voce ha reso il nostro piccolo mondo migliore e a noi ha regalato quel poco di felicità che è concesso avere.
E l’incanto continua nel cinema, ora che le luci dei teatri sono spente dallo schermo la sua voce ancora ci commuove, il silenzio della sala è quello dei grandi templi della musica, si vorrebbe esplodere in un applauso, alla fine, ma al cinema non si applaude.
Tom Volf è riuscito dove molti hanno fallito.
Ha trovato documenti finora introvabili, come l’intervista del 1970 che fa da filo conduttore al film e restituisce un’immagine di freschezza e autenticità finora sconosciute della grande donna, ha organizzato un montaggio superbo d’interviste, inediti, filmati di repertorio, letture (la lettera d’amore di Maria al suo Ari che la sua voce legge sulle immagini di Onassis e Jacqueline Kennedy prossimi al matrimonio è da brivido) ha creato uno storytelling perfetto, che racconta ed emoziona, scava nel personaggio ma con rispetto, con delicatezza, certo con amore.
E guardare alla Callas con amore non è cosa da poco.
Figura ormai leggendaria, vissuta in decenni in cui il divismo era un fenomeno tutt’altro che innocuo e masse invase da curiosità morbosa erano regolarmente appagate da rivelazioni sensazionali su personaggi famosi, i titoli a caratteri cubitali sulle prime pagine dei giornali decretavano con assoluta certezza cosa bisognasse credere.
Oggi siamo diventati più scaltri e meno romantici, ma quegli anni del secondo dopoguerra ebbero parecchie vittime e le ragioni si possono capire, l’italietta con la i minuscola non aveva più dittatorelli da osannare e saluti romani da fare.
Dunque bisognava occuparsi dei fatti altrui, e se il soggetto era, per qualche dono di natura, un grande, meglio, la soddisfazione di farlo a pezzi era impagabile.
Maria fu una delle vittime più indifese e della sua vita, carattere, amori e disamori si disse di tutto.
Tom Volf invece fa parlare lei, ed è la voce di una donna libera, estremamente intelligente, appassionata, semplice, capace di amare e di soffrire, certo mai di odiare, la sua arte era quello che lei sentiva come un dono divino e dunque un dovere, qualcosa a cui sacrificare tutto.
E di sacrificio si trattò, questo è molto chiaro, e lo dice lei stessa in quelle immagini dell’intervista, tanto sgranate ma così vere e importanti per capire chi è stata veramente Maria Callas.
Non avere una famiglia, dei figli, una persona con cui condividere la vita, i problemi, le gioie.
Uno alla volta quelli che credeva i pilastri della sua vita crollavano e restava la donna sola che il mondo vedeva nelle copertine patinate, nelle feste del jet set internazionale, sulle scalette degli aerei intercontinentali o sul ponte di yacht miliardari.
Facile farne un bersaglio, se non si poteva discutere il miracolo della sua voce si poteva però atteggiarsi a censori della sua vita.
Non ci sono altre voci che la sua nel film, solo qualche intervento di Elvira, sua grande amica e maestra, per il resto sembra che intorno a lei si muovano solo fantasmi, o forse è la sua grande presenza ad oscurare gli altri, nonostante trasmetta dolcezza, pacatezza di modi, calma.
Al di là dell’ottimo doppiaggio della Bonaiuto, riusciamo anche ad ascoltare la sua voce che si esprime fluidamente in inglese e, soprattutto, in francese. La Francia, del resto, fu la sua vera patria, “parlava un ottimo francese, con intonazioni dolci e gravi che rispecchiavano gli armonici bellissimi della voce cantata” dice di lei Michel Glotz in L’arte di assecondare i grandi.
Abile alternanza di documenti di vita e di spettacolo, i momenti più belli di una carriera artistica unica al mondo riportano fra noi quel miracolo della natura che era la sua vocalità, finalmente libera da tutto il ciarpame che attribuivano alla sua persona.
Ritratto a tutto tondo di donna libera, fiera di esserlo, che alla musica ha donato la sua vita e avrebbe continuato a farlo se la morte a 53 anni non avesse deciso per lei, i versi di una grande poetessa, Wislawa Szymborska, sembrano essere l’epitaffio più appropriato
Non c'è vita
che almeno per un attimo
non sia immortale.
La morte
è sempre in ritardo di quell'attimo.
Invano scuote la maniglia
d'una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto.
I titoli di coda scorrono sulla Callas che canta "O mio babbino caro" di Giacomo Puccini nel 1965. Dirige l’ Orchestra nazionale ORTF Georges Pretre
www.paoladigiuseppe.it
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