Regia di Francesca Archibugi vedi scheda film
La convivenza (quasi) impossibile tra un padre milanese sottaniere e separato da sette anni dalla moglie (Bisio), noto personaggio televisivo, e il figlio diciassettenne (Bacchini), perennemente disordinato, sbracato sul divano o sul letto, in costante compagnia di alcuni compagni di scuola (con i quali, alla faccia del politically correct e del totale svuotamento semantico nella scelta della parole, si chiamano tra loro "i froci per sempre"), innamorato di una coetanea mezza dark e mezza emo ma androide per intero (Brusadelli), refrattaria a qualsiasi capacità comunicativa.
La Archibugi continua a strizzare l'occhio alla sinistra più salottiera e radical chic - quella che si riempie la bocca di questioni sociali e poi dà in mano la carta di credito ai figli diciassettenni - con risultati imbarazzanti. Liberamente, moooolto liberamente tratto dall'omonimo romanzo semi-autobiografico di Michele Serra, il film della 57enne regista romana ne stravolge lo spirito, vi innesta una sottotrama che diventa l'asse portante dell'opera (il genitore teme che la ragazza con cui il figlio ha una relazione sia la sorellastra di quest'ultimo, frutto di una scappatella di alcuni anni prima) e perde completamente di vista l'anima del fulminante libello originale, dimenticandone l'ironia ma soprattutto ignorando il perno del testo originale, quel grido disperato di un genitore che non sa più cosa fare con questa generazione di sdraiati, per proporre una messa in scena cerchiobottista nella quale i padri sono dei Peter Pan irresponsabili e tutti i mali dei figli sono attribuibili alle separazioni troppo facili. Sicché, tolta la figura bonaria del suocero del protagonista (chi si rivede: Cochi Ponzoni!), tutti gli altri personaggi risultano indigesti e l'unica risposta possibile richiamata dalla generazione che qui viene portata sul grande schermo è quella di un sonoro ceffone, come suggerisce un degente dell'ospedale che i "froci per sempre" hanno scambiato per una discoteca. Una generazione che continua a essere trattata con superficialità estrema, come già in Genitori & figli: agitare bene prima dell'uso (Veronesi), Gli sfiorati Rovere), Fino a qui tutto bene (Johnson) e Questi giorni (Piccioni): e così sarà ancora, almeno fino a quando li si vorrà vedere in chiave di commedia, quando invece di tratta di un autentico dramma sociale (e infatti i ritratti migliori sono declinati in questa chiave, vedi Il capitale umano e I nostri ragazzi). Alla Archibugi, che continua a concentrarsi su ambienti ultraborghesi, dice nulla il concetto di neet?
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