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L'ultima discesa

Regia di Scott Waugh vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su L'ultima discesa

di alan smithee
4 stelle

Un campione di hockey trentenne, con problemi di dipendenza da anfetamine, ha deciso di ritirarsi per un periodo in alta montagna presso una località sciistica, sperando di ritrovare la calma e l’attitudine a curarsi da quel calvario di assuefazione.

Siamo ad inizio anni 2000, ed il ragazzo sconta anche i turbamenti familiari conseguenti ad un rapporto conflittuale col padre che da sempre ha preteso da lui prestazioni sportive fin troppo ambiziose, devastandolo interiormente e psicologicamente.

Il giorno in cui non riesce a contattare la madre, con cui aveva avuto un litigio piuttosto forte per quegli stessi motivi, il ragazzo decide di farsi una sciata tosta in snowboard per distrarsi.

La giornata, che inizia a ciel sereno, si prepara ad accogliere una violenta tormenta di neve e lo sciatore, distratto dalla bella neve, dimentica di rispettare gli orari di chiusura e si trova a percorrere un tratto di fuoripista che lo induce a perdersi, anche a causa della improvvisa scarsa visibilità.

Si troverà perduto, senza possibilità di comunicare con i propri familiari o amici, o chiedere soccorsi. Finirà per trascorrere addirittura 10 giorni al gelo, senza cibo, mezzo assiderato, in costante pericolo di vita in quanto braccato da una muta di lupi selvatici e famelici.

L’interessamento della madre, e di una avvenente responsabile dei soccorsi del luogo, consentiranno di ritrovare in extremis il ragazzo, salvandolo.

Da una storia realmente accaduta, il regista Scott Waugh – uno specialista di action – realizza un film tecnicamente anche ben realizzato – forte di paesaggi montani davvero stupefacenti - gravemente inficiato tuttavia da una sceneggiatura scriteriata che non sa gestire le tempistiche della suspence, né tantomeno le dinamiche di un percorso accidentato che dura ben 10 giorni, ma che la storia mal scritta appiattisce senza riuscire a valorizzare i termini temporali, di primissima importanza in dinamiche come quelle al centro della vicenda.

Come se non bastasse, l’incedere di flash-back rozzamente disposti ed organizzati, inerenti il passato del campione, contribuiscono solo ad appesantire la vicenda, a renderla più scontata e devastata da sentimentalismi spicci ove la retorica uccide ogni possibilità di coinvolgimento.

Nel cast riconosciamo due attori un tempo star o promesse assolute dell’olimpo hollywoodiano, da anni relegati a ruoli un po’ in sordina.

Josh Harnett, che si rende protagonista di una prova tutto sommato convincente, ma relegato per troppi anni ai serials o a produzioni marginali, si è riaffacciato nel mondo del cinema, commerciale come d’autore, proprio nel 2017 con 4 pellicole che potrebbero rilanciarlo.

E comunque, dopo il buon horror interpretato diverso tempo fa, quel teso ed affascinante “30 giorni al buio”, si dimostra curiosamente ancora una volta legato ad un cinema da climi nordici e grandi paesaggi innevati.

La vera scomparsa tra i due è in realtà Mira Sorvino, chiamata qui ad interpretare il ruolo della madre del protagonista, grazie al quale si innescano, pur tardivamente, gli sforzi incentrati a recuperare l’incauto sciatore disperso: una prova, la sua, invero piuttosto mediocre, colpa anche, o soprattutto, della scialba costruzione - a livello di scrittura - fornita al suo personaggio.  

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