Regia di Gus Van Sant vedi scheda film
Gus Van Sant ha un talento unico nel raccontare storie che parlano di giovani disadattati. In Drugstore Cowboy assistiamo alle vicende di quattro ragazzi alla prese con la droga. Il regista non da giudizi morali sulla questione. Come non ne danno i ragazzi, che, anzi, nella droga hanno trovato una propria dimensione esistenziale. Come dice Borroughs, la nostra società non ammetterà mai la possbilità di un' esistenza felice per un tossicodipendente, le droghe nel nostro mondo sono sinonimo di miseria e morte. E forse è così perchè nei confronti delle droghe non abbiamo avuto la giusta educazione. Uno che, come Fini, dice che le droghe sono tutte uguali è un' idiota che fonadmentalmente non ha capito nulla.
Nel film i ragazzi sono tossici anche senza l' eroina. Si sparano in vena le sostanze che trovano nelle farmacie. La droga è lì, proprio a portata di mano. La loro esistenza ruota intorno alla ricerca di sostanze per farsi. E ce ne sono una enormità.
Gus Van Sant è più interessato ai rapporti tra giovani, che agli effetti della droga. E' interessato ad una sorta di normalità che si può instaurare tra le persone che hanno decise di vivere in questo modo. Che sono, quindi, persone capaci di amare, di sorridre, di prendersi per il culo. Anche davanti ai problemi più grandi, davanti a dolori della vita.
Il protagonista, Bob, dice di drogarsi per non dover sopportare l' angoscia esistenziale di doversi alzare e allacciare le scarpe. Il dolore di vivere. Ognuno di noi lo affronta in maniera diversa. Drogarsi non è tanto differente dall' alzarsi e andare a lavorare. E' un impiego. Ma in questo caso deriva da una scelta ben precisa. Scegliere il modo in cui vivere la propria vita e non, per paura, lasciarsi rinchiudere dentro un lavoro, un matrimonio, una vita che alla fine ti uccide lo stesso. Matt Dillon (Bob) decide di farla finita con la droga per il patto che fa con dio. Un tossico, da solo, non potrà mai uscirne. C'è bisogno di una volontà, di un fine, di una acorrdo. Che sia con dio o con la propria anima, non importa. Ma uscirne da soli è praticamente impossibile. Devi sempre trovare qualcosa che riempia quel vuoto incolmabile.
Van Sant è attratto dal cielo e dalle nuvole. Ce le fa vedere. E questo ci da un senso di infinito, di movimento. Ci da il senso che dovunque andremo e in qualunque posto saremo il cielo sarà sempre sopra di noi e potremo guardarlo. Forse è una protezione, forse qualcosa di bello che appartiene a tutti. Come la vita.
Il regista sorprende anche per le sue molte invenzioni visive. Come le piccole sagome di filigrana che fluttuano davanti agli occhi di Bob mentre è in trip o come il primo piano di una lampadina. Che è una sorta di tentativo di creare una estetica della droga. Non a caso chi fa uso di stupefacenti può rimanere per molte ore fissato su un oggetto.
Van Sant cura l' impatto visuale della storia con la stessa capacità con cui è riuscito a scriverla. Usa il super8 all' inizio per presentarci i personaggi e per cercare di assottigliare al massimo il confine tra realtà e finzione.
Un ultimo accenno sul grandissmmo William Borroughs, tossico reale e incredibile scrittore. Vecchio anziano che conocse le droghe e sa quale usare. La sua di sperimentazione è durata per quindici anni e ci ha regalato un libro assurdo e geniale come il Pasto Nudo, che dovreste assolutamente leggere.
Il mondo della droga è intorno a noi, solo che nessuno vuole mostracelo, come quell' 'elefante che si aggirava in una scuola americana di non molto tempo fa.
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