Regia di Gus Van Sant vedi scheda film
Di film sulla droga, sulla dipendenza e sul marciume che cause se ne anno sempre molti, ma pochi riescono là dove molti falliscono. Un film dal contenuto delicato come la dipendenza da droghe come da alcol o qualsiasi altra cosa, piuttosto che il rifiuto di una vita normale, il rifugio nell'autodistruzione sempre additato dai benpensanti, rimane sempre un film scomodo che se fatto bene gioca la carta dell'ambiguità dicendo ciò che ha da dire anche passati molti anni, se fatto male rimane solo uno dei tanti titoli del genere. Il film di Gus Van Sant c'entra in pieno il delicato confronto tra volere e dovere, tra piacere e dolore, e lo modella sui volti dei suoi personaggi, quello indiscutibilmente bello di Matt Dillon che cozza con la vita marcia che fa, fino a quello scavato dagli anni di Burroughs, che ci regala un'apparizione intertestuale sospesa tra finzione cinematografica, saggio filosofico, e autobiografia. Il pregio di Van Sant è sempre lo stesso: di raccontare storie con lo stile giusto, quello del distacco umano e della partecipazione estetica.
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