Regia di David Yates vedi scheda film
La magie de Paris
Squadra che vince non si cambia; il (patologico) “bisogno” di sequel – imposto dai “pragmatici” produttori hollywoodiani (a corto di idee) ma probabilmente auspicato da moltitudini di spettatori cinematografici moderni (ormai “serialmente” dipendenti), contagia anche lo “spin off” di Harry Potter dedicato allo scapestrato e (a questo punto) giramondo mago/etologo Newt Scamander.
Quello che poteva (doveva) essere (a parere di chi scrive) un simpatico unicum (alla maniera - per fare un paragone positivo – di “Rogue One: a Star Wars Story” anch’esso del 2016) utile ad allargare il retroterra fantastico di una saga che (bene o male) ha influenzato per quasi un decennio l’immaginario collettivo di una generazione di ragazzini e non, si risolve - in questo forzato secondo episodio - in un pasticcio.
La mancanza di idee della sceneggiatura appare palese fin dalle prime battute: l’idea di spostare l’azione a Parigi (sic !) - senza apparenti se non labili motivazioni - in un mefitico mix di trite divagazioni amorose debolmente rese e di un quasi incessante girovagare del quartetto di protagonisti alla ricerca gli uni degli altri, si porta via una buona fetta di pellicola senza nulla aggiungere ad una trama già stiracchiata; che si estrinseca banalmente in istanze da spy story (sic et simpliciter !) tirando in ballo inutilmente una pletora di personaggi collegati al mondo di Harry Potter senza altro costrutto se non quello di far “sobbalzare il cor” degli spettatori. Fanno capolino pertanto un giovane Albus Silente (fascinosamente interpretato da un compassato Jude Law) e vari appartenenti della famiglia Lestrange, inseriti a forza in un plot già poco credibile di suo che, con il loro “aiuto”, diventa ancora più contorto e incomprensibile.
Perfino la presenza – annunciata ma se non altro ben calibrata – di Johnny Deep, che riprende il ruolo dell’antagonista Grindelwald (appena accennato nel film precedente), non porta particolari elementi di novità al lavoro: più svogliato che (mellifluamente) malvagio nell’interpretazione, il suo personaggio si fa portatore di istanze suprematiste (sovraniste ? – n.d.A.: “prima i maghi anglo/francesi !!”) già ampiamente “digerite” in altri ambiti (nella saga madre, in quella degli “X Men”, nella realtà, etc.) senza portare particolari benefici alla tenuta generale della pellicola. Perfino gli effetti speciali – perso il discreto effetto sorpresa dell’esordio – risultano mediocri e già visti: tanto da far sospettare malignamente che il film sia un insieme di scarti di montaggio assemblati alla bisogna con pochi “cut” originali per tirare il paio d’ore necessarie per il passaggio in sala (come si usava un tempo per le serie tv generaliste, con la classica puntata riassuntiva composta quasi per intero da flashback).
Un riempitivo senza senso, in definitiva, oggettivamente superfluo nell’economia della trilogia (si spera si fermino a tre film: sarebbe folle andare oltre [quindi chissa’….])
On attend.
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