Regia di Valerio Mastandrea vedi scheda film
Un operaio è morto sul lavoro. L'evento suscita la commozione della comunità di lavoratori che vivono sul litorale laziale, a Nettuno, vicino Roma. Suo figlio di dieci anni (Marchetti) cerca di esorcizzare il dolore immaginando una telecronaca dell'evento funerario in compagnia di un coetaneo. Soltanto sua moglie (Martegiani), la compagna di una vita, non riesce a piangere. Valerio Mastandrea esordisce dietro la macchina da presa con un film coraggioso, ma letale per chi tenta infruttuosamente di rimanere in stato di veglia. Ritmo lentissimo, recitazione (in primis della protagonista, compagna nella vita dell'attore-regista romano e qui per la prima volta sul grande schermo) di livello amatoriale, una valanga di ellissi, troppa carne al fuoco (l'elaborazione del lutto, il tema del figliol prodigo, le lotte operaie, la malattia) ma anche troppa, davvero troppa musica. in mezzo a tanta materia maldestramente organizzata, diventa compito dello spettatore quello di ricostruire i rapporti tra l'anziano padre (Carpentieri), anch'egli con un passato da operaio, e il figlio maggiore (Dionisi), un cinquantenne ricomparso dal nulla, o di dare un senso alle incursioni posticce di una ex fidanzata del defunto, interpretata da una Silvia Gallerano che fatica a capire che quello non è più il palcoscenico dove ha portato La merda, il suo fortunatissimo (sic) spettacolo teatrale. La macchina da presa incollata col millechiodi sul pavimento e l'irpino Carpentieri che tenta di scimmiottare il vernacolo romanesco contribuiscono ad accentuare l'effetto straniante di tutta l'operazione, che vede così maldestramente naufragare quel mood malinconico che Mastandrea riesce quasi sempre a portare davanti alla macchina da presa ma che, dietro, diventa a tratti involontariamente grottesco.
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