Regia di Luca Facchini vedi scheda film
Di quel che non abbiamo visto di De Andrè...
Dai produttori de La meglio gioventù (la Bibi Film,
insieme a Rai Fiction), secondo lungometraggio di
Luca Facchini (dopo A farewell to beat,
documentario su Fernanda Pivano), con l’intento
degli sceneggiatori (Giordano Meacci e Francesca
Serafini) d’esplorare le vicende personali del
cantautore e non di raccontare un Paese, nè la
volontà poetica e politica, allo stesso tempo, che
muoveva la sua composizione.
Fabrizio De Andrè. Principe libero, sotto
la supervisione di Dori Ghezzi, è un film pensato e
nato con taglio televisivo, un soggetto scritto con
ironia e romanzato al punto giusto, che anche
l'utente televisivo che di De Andrè non conosce alcunchè, empaticamente riesca a immedesimarsi in Luca Marinelli, che recita un principe libero più
simpatico e meno controverso rispetto all’artista
anarchico.. ma quelle di De Andrè non sono mai
state solo canzonette (e non me ne voglia Edoardo Bennato)!
“Se poi ‘anarchico’ l’hanno fatto diventare un termine negativo, addirittura orrendo…anarchico vuol dire senza governo, anarchè… con
questo alfa privativo, fottutissimo…
vuol dire semplicemente che uno pensa di essere abbastanza civile per riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia (visto che
l’ha in se stesso), le sue stesse capacità.
Ritengo che l’anarchismo sia un perfezionamento
della democrazia".
De Andrè non si è mai esibito con facilità, per
questo tenendosi lontano dalle sale da concerto
per buona parte della sua carriera.
Anche i fan di De Andrè di quel tour tra il 1978 e il
1979 con la Premiata Forneria Marconi, giá allora una band conosciuta, molto apprezzata e amata
nella scena progressive italiana e internazionale, e da poco rientrata dalla conquita dell'America con
un tour e un disco passati alla storia del prog,
temevano si sarebbe rivelato solo un’operazione
commerciale.
Fotografo di quella tournè, che da allora collaborò
strettamente con De André per vent’anni, art director e designer dei due album, In concerto. Vol I e Vol II, risultanti dalle
registrazioni dei live a Firenze e Bologna, è stato Guido Harari, fotografo e giornalista
musicale, anche musicista per passione, che
inserisce foto sul e fuori dal palco, come quella in
b/n, in cui De Andrè, seduto su una panchina, con una bottiglia di whisky, con una mano si
massaggia le tempie, con l’altra tiene una sigaretta
accesa (che non vediamo).
Su quella foto, poi, De Andrè scrisse a mano un pensiero lungo un testo, dedicandolo a Patrick
Djivas, il bassista della PFM, Blues di altre date (28/01/1979): da "In concerto"
Noi siamo qui che aspettiamo che cominci, ragazza
Noi siamo qui che aspettiamo che cominci
Le vedi tutte queste teste ragazza
Le vedi tutte quelle palle da bigliardo
Loro sono qui ad aspettare qualcosa ragazza
Loro sono qui ad aspettare che qualsiasi cosa cominci
Ma tu chiudi il tuo balcone ragazza
Questa sera voleranno bombe molotov
Mi hai capito ragazza
Questa sera voleranno bombe molotov e lacrimogeni
Chiuditi, ragazza, dentro agli occhi e al balcone
Se non vuoi piangere senza disperazione
Noi siamo qui stasera, ragazza
Noi siamo qui che aspettiamo che qualcosa cominci
Patrick, che aveva fondato gli Area, poi suonato
nella Premiata Forneria Marconi, e può dirsi essere stato uno dei fautori della scena prog italiana, così riassume l’incontro tra il
cantautore genovese e la band progressive:
<<Da musicisti volevamo superare i confini del
linguaggio rock e momentaneamente
accantonammo il verbo, per immergerci
totalmente nella ricerca prettamente musicale.
Eppure Fabrizio capì che la nostra ricerca aveva lo stesso obiettivo della sua composizione poetica,
cioè raggiungere una successione armonica
fluida e significante.>>
Gli arrangiamenti della PFM diedero alla poetica di De Andrè un’armonia progressive, facendo di
questa collaborazione artistica la pietra di svolta
nella storia del cantautorato italiano, che Harari ha
tradotto nel libro Evaporati in una nuvola rock, in collaborazione con Franz Di Cioccio (Chiarelettere, 2008): un diario a parole e immagini di quel viaggio creativo.
<<Abbiamo visto cose, che voi umani neppure
immaginate al largo di Re Nudo>> - quasi recita
Franz Di Cioccio, raccontando quegli anni
fortemente politicizzati, quando una generazione
si trovava incastrata tra i postumi del ’68, uno
sfiorito ricordo del flower power, e le avvisaglie
degli anni di piombo _l’embargo ai grandi concerti
internazionali e gli attacchi a impresari musicali e musicisti, perchè accusati di lucrare
eccessivamente sul diritto dei giovani di accedere al prodotto musicale, nascevano dalla salvaguardia del diritto alla Musica, momento rivoluzionario se pratica
di cambiamento esistenziale di tutti.
Il Re Nudo è stato un giornale underground, di
controinformazione, che dal 26 al 29 giugno 1976
aveva organizzato la Festa del Proletariato Giovanile al Parco Lambro a Milano, VI ed
locandina 6° Festa del Proletariato Giovanile al Parco Lambro (Milano) dove coloro, che si riconoscevano nell’ala più creativa del Movimento del ‘77, avevano iniziatoa radunarsi.
Al termine del Festival Pop, quest’ala libertaria e
più creativa del Movimento, che voleva
scandalizzare il borghese, ma anche il militante di sinistra ideologizzato, firmò il manifesto
Abbiamo dissotterrato l’ascia di guerra: il primo
‘segnale di fuoco’ degli Indiani metropolitani, che, pur avendo dissotterrato l’ascia, erano
assolutamente contrari alla lotta armata, invece
propugnandone una creativa.
Per tutto il tour De Andrè e i membri della PFM si
diedero e chiamarono con dei soprannomi ispirati ai nativi americani, per cui Franz Di Cioccio fu
‘Due orsi’, Mussida ‘Alce grigia’, De Andrè ‘Coda di
lupo’ (brano contenuto nell’album Rimini del 1978:
“...E quando
avevo duecento lune e forse / qualcuna è di troppo / rubai il primo cavallo e mi fecero uomo /
cambiai il mio nome in Coda di Lupo...”).
Di Cioccio ricorda la sincera disponibilità verso il
pubblico, che allo stesso temo De Andrè temeva: <<la sua curiosità e la sua ansia di conoscere lo spingeva ad esporsi oltre ogni comune senso
logico, come quando, in pieno concerto, scese dal
palco per andare a discutere con un ragazzo, che
urlava di qualcosa che non gli andava giù.
Poi magari la violenza la restituiva in forma di
canzone, con ironia, come quandò cantò
“Io seduto in mezzo ai vostri vaffanculo”, mettendo bellapposta una pausa tra le parole ‘vostri’ e
‘vaffanculo’, come se rispedisse gli insulti al
mittente.
De Andrè veniva da una famiglia borghese, ma fin
da giovanissimo aveva amato le puttane, bevendo vino e cantando nelle osterie dei vicoli oscuri di Genova, e conosceva bene il linguaggio del popolo, nè si spaventava di
controbbatergli.>>
Non me ne vogliate se questa mia non sia affatto
stata, una recensione; piuttosto volevo tracciare
alcune linee guida utili per trovare l’artista
complesso, lucido, curioso, vivace e sensibile, che nella trasposizione televisiva non ho visto.
“Da bambino volevo guarire i ciliegi
quando rossi di frutti li credevo feriti
la salute per me li aveva lasciati
coi fiori di neve che avevan perduti.
Un sogno, fu un sogno ma non durò poco
per questo giurai che avrei fatto il dottore
e non per un dio ma nemmeno per gioco:
perché i ciliegi tornassero in fiore...” da Un medico
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