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Fabrizio De Andrè. Principe libero

Regia di Luca Facchini vedi scheda film

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La recensione su Fabrizio De Andrè. Principe libero

di barabbovich
4 stelle

Non è bastato un attore versatile come Luca Marinelli a fare di Fabrizio De André - Principe libero, prodotto da Rai Fiction e proposto come evento in sala per un paio di giorni prima del passaggio televisivo - un film dignitoso. Il biopic su uno dei più grandi autori e interpreti della canzone italiana fa quasi interamente leva sulle sue vicende sentimentali, lasciando completamente sulle quinte il processo creativo, l'attività di dotatissimo traduttore, la poetica e la sensibilità letteraria del cantautore genovese. Partendo dalle scorrerie adolescenziali nei carruggi di Genova e dalla frequentazione dei bordelli locali, nella prima parte il film dell'esordiente Luca Fiacchini mette a fuoco il difficile rapporto con un padre ingombrante (Fantastichini), vicesindaco del capoluogo ligure e patron dello zuccherificio dell'Eridania: un uomo che avrebbe voluto vedere suo figlio "Bicio" con una laurea in avvocatura alla stregua del primogenito Mauro (Iacopini). Da lì il racconto si snoda sugli esordi da avanspettacolo insieme a Paolo Villaggio (Gobbi), con brevi richiami all'amicizia con Luigi Tenco (Martari), con il poeta Riccardo Mannerini (Ragno) e con Fernanda Pivano (Notari). Poi i primi successi, Mina che canta in tv La canzone di Marinella, la paura per le esibizioni dal vivo, rotta col famoso concerto alla Bussola di Viareggio, fino a che il film non finisce per  dipanarsi quasi interamente sui rapporti con le due mogli: Enrica, detta Puny (Radonicich) - che una sceneggiatura infingarda fa passare per una borghesuccia demente - e Dori Ghezzi, interpretata da una pessima attrice come Valentina Bellè. È a questo punto, alla metà del film, che il biopic si trasforma in una storiellina sentimentale nella quale si vede chiarissimamente l'impronta di Dori Ghezzi, capace di trasformare il lungometraggio in un'operina egoriferita nella quale si perde completamente di vista il lavoro di Faber sulla canzone (se non per qualche sottolineatura didascalica che ci racconta di Crêuza de mä e del concerto con la PFM) e gli unici spunti extra rimangono l'avvio dell'attività da allevatore in Sardegna, il successivo sequestro della coppia, qualche cenno al rapporto col primogenito Cristiano e la morte del padre.
C'è da domandarsi a chi e quanto possa interessare un film della durata di tre ore che ha l'unico merito di mostrare pervicacemente lo spirito libero e anarchico del protagonista, la sua determinazione ed estrema coerenza nell'andare "in direzione ostinata e contraria", di sentirsi davvero vicino agli ultimi. Per il resto, il film dimentica quasi completamente la prolungata estasi creativa del protagonista (non fu così per un eccellente prodotto di stampo televisivo, quello su Rino Gaetano), trascura quei minimi accorgimenti di finzione che dovrebbero derivare dal trucco degli attori, sempre identici, e si affida a un Luca Marinelli dall'accento romano, qui - dispiace dirlo - alla sua prova più opaca. L'autore di pietre miliari come Via del campo, La guerra di Piero e Il pescatore ne esce come un ubriacone accidioso, dedito unicamente a sigarette, alcol e sottane, refrattario alla lettura (esiste un archivio sterminato di foto di De André con qualche libro in mano): un autore così gigantesco avrebbe meritato ben altro…

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