Discreto film biografico sugli ultimi giorni di vita dell' attore Hervè Villechaize, affetto da nanismo
"Quando il mondo capisce che sei una persona e non solo un divertimento per la vista, si spaventa“ l’attore Hervè Villechaize affetto da nanismo e divenuto celebre per il film di James Bond del 1974 "L’uomo dalla pistola d’oro" e per la serie anni Ottanta "Fantasy Island,"cosi confidava all'unico, che forse lo avesse mai veramente ascoltato, l'unico vero amico che abbia mai avuto, anche se per pochissimo tempo.Questo film biografico racconta gli ultimi giorni di vita di questo tormentato personaggio. Sacha Gervasi,alias Tate nel film, che all'epoca faceva il giornalista, raccolse le sue impressioni, la sua visione della vita, i suoi affanni ,i suoi effimeri successi,attraverso una frequentazione di appena una settimana, nell’estate del 1993, poco tempo prima che l’attore si suicidasse, trasformando un banale pezzo giornalistico in un articolo sensazionale, ma anche in una specie di testamento spirituale, condensando quei lunghi giorni d’intervista, in una notte.Il film da lui diretto e sceneggiato prende vita proprio da quel quasi fortuito incontro, diventando qualcosa di molto personale,un omaggio alla sua memoria. Dopo l’incontro iniziale, fra una visita a uno strip club e una forsennata corsa in limousine, Villechaize gli racconta i fatti più importanti della sua vita, attraverso altrettanti flashback. Dalla Parigi occupata dai nazisti, dove la madre lo partorisce durante un bombardamento: “Diceva sempre che ero colpa di Hitler“ per poi rinnegarlo per tutta la vita, mentre il padre medico cercava disperatamente un rimedio, con operazioni dolorose quanto inutili. Dopo una fortunata parentesi come pittore, il giovane si trasferì a New York, “dove vanno tutti i freak“, per imparare l’inglese seguendo i locali programmi tv e dove capì che solo nel mondo dello spettacolo, avrebbe potuto mettere a frutto il suo disgraziato handicap.Il film è in effetti una storia, non solo sulla difficoltà di vivere per un disabile,ma soprattutto su certi perversi meccanismi dello show-business. Quando la direttrice della rivista assegna l’articolo al reticente giornalista, gli dice con perfido cinismo “Il pezzo sul nano, fallo divertente“. Fermamente convinto di poter diventare qualcuno Villechaize, si fa scivolare in un vortice perverso, che lo eleva prima all’apice del successo, per poi farlo precipitare negli abissi dell’oblio, dell’autocommiserazione e delle dipendenze, soprattutto dall'alcol e spingendolo verso una depressione, che poi gli sarà fatale.Anche il suo carattere irascibile e intrattabile sul set, concorse al suo percorso di autodistruzione.Il rapporto con la sua ex moglie finì come peggio non poteva, con un'ordinanza restrittiva.Questa ultima fatidica intervista, si può leggere come un inascoltato e accorato grido d’aiuto. il film saltella dai problemi del giornalista Tate,ovvero il regista-sceneggiatore, a quelli dell’intervistato, ma senza azzardare analogie e mescolanze. Peccato che la regia non abbia approfondito il suo impegno nel sociale e nelle iniziative di solidarietà,insistendo forse troppo sulla dannazione della star maledetta,un classico della Hollywood,la mecca del cinema, soprattutto di quegli anni, che spesso lanciava giovani promesse per ammaliarle e poi annientarle.Condurre una vita sfrenata e agiata,piena di donne belle e disponibili,tra alcol e droga,in mezzo al lusso sfrenato,strega e ti manda tanto in alto, da farti perdere il contatto con la realtà, può travolgere, soprattutto i soggetti più deboli e Villechaize lo era più degli altri.
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