Regia di Pascal Laugier vedi scheda film
Inquietante favola nera giocata sulla commistione tra sogno e realtà, ben diretta da un regista che si sta facendo apprezzare come uno dei nomi in ascesa del filone horror
Una casa ricevuta in eredità da una zia rappresenta per Pauline, madre single di due figlie, la possibilità di iniziare una nuova vita e decide di trasferirsi nella nuova abitazione. Peccato che all'arrivo l'edificio si riveli fatiscente e per di più arricchito fino all'inverosimile da una collezione di bambole veramente inquietanti, cosa che più che ad una casa la fanno somigliare ad un museo degli orrori.
Orrori che diventeranno reali quando due sadici maniaci irromperanno nella vita della famigliola rendendola un incubo terrificante.
Diretto da Pascal Laugier, ben noto agli appassionati del filone per il tremendo (almeno sotto il profilo visivo ) Martyrs, La casa delle bambole parte con uno spunto tutto sommato non originalissimo ma grazie all'abilità del regista si presenta come un horror spiazzante. La vicenda infatti gioca sul mescolamento tra le sequenze reali e quelle oniriche, innescate in particolare dalla fervida fantasia di una delle due giovani protagoniste (Beth, appassionata di letteratura horror e in particolare di H. P. Lovecraft, al punto da sognare un futuro di scrittrice), creando un senso di disagio nello spettatore che si trova costretto a fare i conti con colpi di scena legati proprio allo stretto margine tra reale e fantastico che contraddistingue la narrazione, cosa che però Laugier dimostra di saper gestire con la dovuta maestria regalando agli appassionati dell'horror un prodotto fra i migliori visti sullo schermo negli ultimi anni.
Interessanti i riferimenti ad altre pellicole del genere: “sembra la casa di Rob Zombie” dice una delle protagoniste quando varca la soglia della nuova residenza (e in effetti sembra la casa della famiglia Firefly). Mentre la scena in cui Vera con un gesto poco educato (il classico dito medio) provoca la reazione di un furgoncino di venditori di dolci (i maniaci che poi faranno irruzione nella casa) sembra richiamare una analoga scena di Animali Notturni, pellicola appartenente a ben altro genere ma che in alcune sequenze diventa un thriller efferato, quasi horror; la stessa figura della Beth scrittrice di successo sulle orme del maestro Lovecraft ci porta alla memoria il Sutter Cane di carpenteriana memoria (Il seme della Follia, forse il più bell'omaggio al Solitario di providence fatto dalla settima arte), anche se l'evoluzione della vicenda si indirizza su binari assai differenti.
E come non parlare del nume tutelare del tutto ovvero l'appena citato H.P.L.? Che però rimane una figura sullo sfondo: qui di lovecraftiano non vi è nulla, chiariamolo subito a scanso di equivoci, la sua presenza appare più come l'omaggio di un ammiratore che non come un elemento di influenza sullo spirito della vicenda.
Se in Lovecraft l'orrore era determinato dalle suggestioni, in questo film viene invece sbattuto in faccia allo spettatore fino a risultare disturbante (pur senza le efferatezze mostrate in Martyrs).
Un riferimento invece meno immediato ma probabilmente (almeno a parere di chi scrive) di assoluta importanza è quello al mondo delle fiabe: la storia dei bambini rapiti da uno o più mostri (“un orco e una strega” vengono definiti da Vera) è la base per molte fiabe che hanno terrorizzato bambini di ogni epoca. E a ben guardare questo La casa delle bambole nella sua essenza più pura appare come una favola nera (e come tutte le favole il lieto fine è d'obbligo.....o forse no)
Molto brave le protagoniste Emilia Jones nel ruolo di Beth, l'aspirante scrittrice fan di Lovecraft, e Anastasia Phillips nei panni di Vera, la sorella più pragmatica, in lotta contro mostri reali partoriti da un incubo assurbo. Bene anche la cantante franco-canadese Mylène Farmer nel ruolo della mamma Pauline.
Se vogliamo trovare un aspetto meno riuscito in tutta l'opera, questo sta nella costruzione delle figure dei “cattivi”, i due inquietanti maniaci. Nessun approfondimento psicologico su questi due mostri repellenti, una cosa un po' atipica in un genere in cui spesso è proprio la figura del cattivo ad essere costruita con maggior attenzione. Ma probabilmente questo è un elemento voluto dal regista che ha preferito concentrare l'attenzione delle spettatore sulle due fanciulle fino a renderlo partecipe del loro destino agghiacciante: in fondo il male senza spiegazione e senza analisi è ancora più tremendo di quello che in qualche misura può essere inquadrato entro i paletti del conosciuto e del definito.
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