Regia di Marco Vicario vedi scheda film
Tratto da un romanzo di Piero (stesso nome del protagonista) Chiara, sceneggiato dal regista e da Sandro Parenzo, questo Cappotto di astrakan è un prodotto ben girato - Vicario è un regista solido e ormai affermato, che cura in maniera piuttosto approfondita la messa in scena fino ai più piccoli particolari - che pone le sue basi sulle spalle del navigato protagonista, un impeccabile Dorelli. La storia propone la classica, sconfortante banalità del sosia (lo scambio di persona e di identità, che si materializza in maniera completa indossando appunto il cappotto del titolo) senza perlomeno trascurare le implicazioni logiche della situazione, cioè non deragliando nell'inverosimile più clamoroso, per evidenziare una riflessione conclusiva che suona più o meno così: quando l'originale non c'è (è scomparso, è perduto, si nasconde), la copia rimane ancora una copia? Le idee ci sono, ma l'impianto della trama è davvero leggerino; l'abilità di Vicario sopperisce per quanto può ai limiti della storia e qualche efficace volto aiuta a fare il resto: ci sono infatti anche Andrea Ferreol, Paolo Bonacelli, Marcel Bozzuffi, Ninetto Davoli e l'insipida Carole Bouquet, che peraltro mostra in un paio di scene di nudo degli insospettati pettorali da applauso. Ma nudità e volgarità non sono qui diffuse; ci sono piuttosto qualche scenetta comica (il rapporto di Piero/Dorelli con il gatto rompiscatole) ed un finale malinconico; montaggio di Baragli e musiche di Nicolai. 4,5/10.
Durante una vacanza parigina, l'italiano Piero è in affitto presso una vedova ancora piacente che lo insidia, ravvisando in lui somiglianze con il defunto marito. Ma Piero conosce anche la bella Valentine, con cui ha una relazione; al ritorno a casa, la ragazza lo seguirà, ma anche lei vede nell'italiano un altro uomo...
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