Regia di Juan Antonio Bayona vedi scheda film
Secondo capitolo del reboot sequenziale di Jurassic Park, con i nuovi interpreti e la rilettura modernizzata dell'impianto iniziale, Il regno distrutto riprende elementi del secondo film della prima trilogia, l’ultimo diretto da Spielberg, con l’arrivo in terra non confinata (la California) dei dinosauri, evidenti sin dall’eco del titolo (Il mondo perduto) e l’avidità come motore (la ricerca genetica finalizzata al guadagno). Si configura così un andamento analogo ai recuperi delle vecchie saghe cinematografiche come Star Trek e Star Wars che rifanno, quasi alla lettera, i rispettivi capitoli con remake non dichiarati e variazioni sul tema, secondo l’ottica seriale applicata al cinema.
Se nel primo film del Jurassic World si ribadiva l'organizzazione apparentemente perfetta di un parco a tema che diventa disastro assassino (il motivo ricorrente crichtoniano, riscontrabile anche in Westworld) con trasformazione in survival movie con dinamica d’azione con fuga dai diffusi pericoli, questa pellicola inizialmente esaspera l’elemento del disaster movie, con la distruzione della stessa iconica e archetipica Isla Nublar per catastrofe naturale, per poi virare verso nuove frontiere narrative, più gotiche e diversamente spielberghiane. La maggior parte dell’azione (tutto il secondo tempo) si svolge infatti nella tenuta del magnate finanziatore del Parco Giurassico originale, dotata di castello ripreso quasi sempre di notte buia e tempestosa, con la piccola orfanella costretta a vivere quasi reclusa col moribondo nonno e accudita da una vecchia tata inquietante (Geraldine Chaplin, già col regista in The Orphanage) mentre il mondo trama alle sue spalle e un giovane orco mira alla incontrastata guida del regno.
Nel contenimento dell’azione nel huis-clos della tenuta, versione ridotta dell’hortus conclusus dell’Isla, si moltiplicano gli effetti horror classici, con i giochi e le minacce nell’ombra, la tensione dell’inseguimento e la suspense dell’appostamento, mentre l’ironia si applica alla scenografia con gli eroi in fuga tra i modellini e nei diorama, le tipiche vetrine allestite con scene d’epoca, relitti umano tra i reperti antichi, o nel momentaneo rifugio nella cameretta d’infanzia, visitata però dai mostri come in Poltergeist o nei libri di Stephen King. Se manca la citazione più diretta e classica del liquido scosso dall'avvicinarsi di un pachiderma, il film si fa più intimamente spielberghiano nel trasformare in novello Indiana Jones lo scienziato-ranger di Chris Pratt, incarnazione moderna di Harrison Ford con l’ironia sorniona dello sguardo e l’eleganza eroica dei gesti (sarebbe infatti stato un migliore Han Solo nel recente film, mentre la figlia di Ron Howard sembra essersi tesa le guance, come il film sottolinea complimentandosi per la pelle), e nel ricalibrare l’economia del film sulla piccola Maisie Lockwood con implicito e invetabile rimando ad A.I., del cui protagonista sembra replicare sguardo e senso.
Dal punto di vista degli effetti speciali il film è ineccepibile, con mostri realistici e un ingente uso dell’animatronic per le scene ravvicinate, l’evidenza delle esplosioni e dell’eruzione; colpisce poi anche emotivamente la resa grafica dell’estinzione, con la morte pompeiana del barosauro bruciato dalla lava e asfissiato dai gas, così come la precedete fuga dalla morte dei sauri superstiti con salto nel vuoto marino e l’inevitabile annegamento, scena questa che rievoca sia Jurassic Park -branchi di corsa attorno agli eroi- che Godzilla, con lo scontro tra animali giganti un cui l’uomo si fa solo spettatore inerme, sullo sfondo di un disperato spirito di sopravvivenza degli animali che l’umanità, al contrario, sembra non valutare abbastanza al cospetto del guadagno.
Inutilmente spezzato in due parti e visibilmente meccanico per il richiamo ai primi film è il cameo del teorico del caos e nichilista interpretato da Jeff Goldblum, il quale ribadisce la preferenza per una seconda estinzione e la scelta di non soccorrere gli animali de-estinti dall’eruzione su Isla Nublar per evitare o almeno rimandare l’armageddon dell’antropocene scatenabile da un momento all’altro per l'esasperazione dello sfruttamento e della trasformazione della natura (l’atomo, la genetica) da parte dell’uomo. Maltrattata da una cattiva gestione narrativa, questa partecipazione rasenta il superfluo se non racchiudesse il senso del film. Le prudenze del matematico, infatti, si rivelano inutili e se ne confermano i timori quando la clonazione aggredisce anche il genere umano e i dinosauri superstiti vengono liberati in territorio americano.
Tra tradizione, omaggi, autocitazioni, ironia e cattiveria, Bayona compone un film volutamente classico, una favola moderna che miscela la paura atavica del mostro estinto con il timore della morte e della vecchiaia, la solitudine e il pericolo in agguato nel buio, il tutto alimentato dal perveso motore dell’inestinguibile avidità umana. Il regista spagnolo, con la sua cinefilia applicata, cerca inoltre di spostare verso gli adulti il nucleo narrativo e, pertanto, diminuisce la componente infantile (se si considerano quasi adulti i due collaboratori della Howard, con caratterizzazioni di genere volutamente invertite: lui “scream king” e lei maschiaccio temerario), sfruttando poi le premesse del primo capitolo per definire una personalità distinta nei dinosauri (partendo dall’anomalia consapevole e quasi senziente di Blue) per avviare il racconto autonomo della nuova libertà degli animali nella inedita frontiera americana. Come confermano le inquadrature terminali (e un sottofinale dopo i titoli, secondo la pratica Marvel), l’azione si allargherà all’intera California con la diffusione degli animaletti nella quotidianità periferica, rimandando, complessivamente, alla scena su cui si concludeva il primo film (dinosauri liberi nei luoghi disertati dagli umani); mentre un’altra citazione tecnica da Spielberg mostra la macchina da presa che si alza alle spalle di Blue mentre guarda un panorama suburbano degno di E.T. o di Poltergeist come di Super 8 o dei Goonies: un movimento di macchina ricorrente in molti film e tipico del regista dello Squalo (anch’esso citato nel finale con ignari surfisti), a sottolineare la sorpresa e la scoperta del futuro prossimo, il mondo giurassico esploso e scappato dal parco.
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