Regia di Juan Antonio Bayona vedi scheda film
Raro caso di sequel che surclassa il suo predecessore, come fosse diretto da un novello Steven Spielberg. Bayona è un talento nitido: inietta nel tipico "formato famiglia" il senso del cinema di serie A. Se lo svolgimento è per lo più scontato, la rappresentazione fa impallidire i blockbuster cui siamo abituati. Il senso di meraviglia è ovunque.
«Il cambiamento è come la morte. Non sappiamo cos’è fino a quando non ce lo troviamo di fronte».
Complici le conquiste tecnologiche e scientifiche, l’uomo è sempre più preda di manie di onnipotenza, strettamente riconducibili all’avidità, che gioca un ruolo di primo piano, e al potere, ad esempio di cambiare l’ordine delle cose, mettendo a repentaglio gli equilibri – sempre più fragili – del sistema globalizzato.
Tematiche presenti in Jurassic world: Il regno distrutto, comunque in forma di pretesto (o poco più), con ragionamenti che non intendono andare a fondo, ma propedeutici alla generazione di un meccanismo tambureggiante, il più degno erede dell’originale sense of wonder di matrice spielberghiana senza farne un ritratto sputato, con la spiccata capacità di arricchire l’esibizione inserendo svariati marchingegni tipicamente cinematografici.
Quando il vulcano sull’isola di Nublar minaccia nuovamente di cancellare dalla Terra ogni traccia dei dinosauri, Eli Mills (Rafe Spall) convince Claire Dearing (Bryce Dallas Howard) e Owen Grady (Chris Pratt) a partecipare a una missione di salvataggio.
Solo arrivati sull’isola, i due capiranno che le reali intenzioni di Eli sono minacciose, per i dinosauri, ma anche per il futuro dell’umanità. Sarà ormai troppo tardi per circoscrivere il pericolo, comunque in tempo per evitare il peggio, almeno sul breve periodo.
Nel 2015, quattordici anni dopo Jurassic park 3, Jurassic world riprendeva in mano il medesimo universo, incontrando un colossale successo di pubblico. Di conseguenza, la formulazione di un sequel era inevitabile, più difficile era invece immaginare che quest’ultimo sarebbe stato in grado di rinverdire lo scenario, in primis grazie alla scelta del regista. Infatti, se Jurassic world: Il regno distrutto funziona – e alla grande – il merito è da attribuire quasi per intero a Juan Antonio Bayona, che recupera la suspense di The orphanage, l’abilità di gestire una grossa produzione di The impossible e l’elemento fiabesco a tinte scure dell’ingiustamente ignorato Sette minuti dopo mezzanotte.
A ogni modo, non è tutto oro colato, ad esempio la sceneggiatura curata da Colin Trevorrow e Derek Connolly (Kong: Skull Island) ricorre a numerosi puntini di sospensioni nel collegare le parti, ma il regista sembra un figliol prodigo di Steven Spielberg: incalzante nella riproduzione ovviando a semplificazioni metriche lampanti, onesto e limpido nella rappresentazione, perfettamente in grado di movimentare le ombre, i riflessi negli specchi, gli echi nell’aria, le luci e il tintinnio degli artigli sugli oggetti, con ogni scelta orientata all’ottenimento di un condimento prelibato.
Segnatamente, l’ouverture è scatenata, la riflessione che apre – e poi la successiva che chiude – il film vero e proprio a opera del mai dimenticato Ian Malcolm (Jeff Goldblum, purtroppo non presente altrove) detta il pensiero da trasmettere e assorbire, mentre il resto è suddiviso in due parti distinte: la prima più avventurosa, e giocata su incastri al fulmicotone che vanno oltre qualsiasi forma di credibilità, la seconda – leggermente - più elaborata e varia, che fuoriesce dall’ambiente d’origine, segnando fraseggi che usufruiscono di una sana tensione, elettrizzante più che spaventosa, distruttivi come può esserlo un elefante in una cristalleria, con i dinosauri che mettono a ferro e fuoco una magione imponente, costringendo i nostri a peripezie d’alta scuola, ricorrendo a risorse fantasiose per sgattaiolare fuori da strade occluse.
Una macchina da guerra, che soffre con leggiadria di horror vacui, ardimentosa nel suo fermentare su passaggi stretti, con automatismi forzati, ma comunque guizzanti, anche grazie a un gioco di squadra che dispiega – classicamente – una serie di pedine, armi cinematografiche, come la coppia costituita da Chris Pratt, sempre più un Indiana Jones moderno, e la volonterosa Bryce Dallas Howard, con frammenti di sentimentalismo, mai troppo ostentati.
Alla fine, malgrado alcune scordature, soprattutto riconducibili a ellissi spregiudicate, Jurassic world: Il regno distrutto batte nettamente il suo predecessore diretto, riagguantando lo spirito del primo episodio del lontano 1993, avvalorato da una regia semplicemente spettacolare, con un occhio indirizzato al futuro, a una nuova era, dimostrando come aprire a un sequel non sia obbligatoriamente un handicap.
Nella sua essenza di giocattolone rocambolesco e ideato per tutta la famiglia, è esemplare. Da salvare e tutelare a ogni costo, come può esserlo una creatura in via d’estinzione.
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