Regia di James Gray vedi scheda film
James Gray è uno di quei registi che fin dagli esordi ha dimostrato di voler perseguire una propria indipendenza ed una propria cifra stilistica. Può essere definito come "autore" o "cineasta" poichè si è sempre occupato sia della sceneggiatura che della regia delle proprie opere, preferendo puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità di film girati. Little Odessa è il suo esordio e Gray, a 24 anni, dimostra già di avere le idee chiare, presentando una vicenda dai tratti quasi scespiriani. Reuben (Edward Furlong) è un ragazzo che abita nel quartiere Little Odessa di New York, popolato quasi esclusivamente da immigrati russi. Cresce senza avere una guida che gli indichi le scelte giuste da fare: suo padre (Maximilian Shell) è un uomo eccessivamente brutale e severo e non riesce a farsi volere bene dal figlio, ma anche ipocrita, in quanto di sera se ne va in giro con la giovane amante. La madre (Vanessa Redgrave) è una donna amorevole e paziente, ma ormai malata terminale di tumore. Per il giovane ragazzo, perciò, sarà più che mai facile prendere come esempio il fratello maggiore Joshua (Tim Roth), appena tornato in città. Joshua è un criminale senza se e senza ma, cinico e sprezzante. Prende subito le redini della sua vecchia banda di quartiere per uno dei suoi "lavori" e , inizialmente, scaccia il fratello per non averlo tra i piedi. Ma Reuben e Alla (Moira Kelly), una ragazza del quartiere per cui ha sempre avuto un debole, saranno le sue uniche aperture a sentimenti di affetto sotto alla sua corazza di criminale tutto d'un pezzo. In una vicenda del genere è impossibile l'happy end: Joshua sarà venduto al boss (russo) locale dal suo stesso padre, ma anzichè essere ucciso lui stesso, a venire giustiziati saranno proprio il fratello Reuben e Alla, "innocenti", ma "colpevoli" solo di vivere in quell'ambiente. Ammazzati per una vendetta "trasversale" come se ne sentono spesso al telegiornale. Per Joshua, dopo aver eliminato i killer russi e averne bruciato i corpi, non resta che sparire di nuovo con altro sangue sulla coscienza. Gray dirige un film criminale minimalista (niente grandi colpi impossibili o sparatorie roboanti), che è sopratutto uno spaccato di un microcosmo come la comunità russa e la descrizione, come nella miglior tradizione del cinema noir, di come il proprio passato e le proprie origini tornino sempre a galla per regolare i conti. E per parlare di tutto questo sceglie uno stile asciutto, privo di sentimentalismi o buonismi verso i personaggi della storia. Del resto viene anche difficile provare simpatia per un tipo come Joshua, che Tim Roth costruisce come un'autentica carogna, con un'espressione arcigna perennemente stampata in faccia e dai modi altrettanto spicci e sanguigni. O come il padre Maximilian Shell, bevitore, cornificatore e violento. Per un ragazzo seppur sensibile come Reuben è impossibile sfuggire ad un ambiente del genere. A Little Odessa vige la legge della giungla: il più forte sopravvive, il più debole muore.
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