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Little Odessa

Regia di James Gray vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Little Odessa

di ed wood
8 stelle

Non dico enfant prodige, ma poco ci manca, A soli 24 anni, Gray scrive e dirige un esordio notevole, all'epoca passato inosservato, salvo poi essere ripescato in seguito ai recenti (per quanto relativi) successi dell'autore. La visione di "Little Odessa" sorprende retrospettivamente proprio alla luce dei suoi "We Own The Night" e "Two Lovers", in quanto si può ben capire come nel 1994 Gray avesse già le idee chiare su ciò che aveva da dire e sul modo in cui esprimerlo. Contenuti e forme già pienamente e lucidamente dispiegati in questo fondamentale esordio, e poi approfonditi, perfezionati (in "We Own The Night") e virati dall'universo criminale a quello sentimentale (in "Two Lovers"). Lo spaccato della comunità ebrea-russa della Grande Mela, il peso dei legami familiari, l'oscillazione fra due antitetici modelli di vita, la scelta individuale contrapposta al fato, la problematica meditazione su Dio. Temi alti, profondi, mai banalizzati dalla mdp di Gray, sempre essenziale, sempre espressiva. Impeccabile nella gestione dei tempi filmici e nella direzione degli attori, il regista, aiutato da una fotografia ispirata, ci offre inquadrature all'insegna di una sobria creatività, attento a non cadere mai nel formalismo estetizzante, riuscendo a sprigionare da ogni sequenza tanto il senso ultimo quanto i risvolti più nascosti. Come nel cinema classico, ma con quella consapevolezza e maliconia tutta moderna, James Gray riesce ad essere complesso proprio nella sua apparente linearità, distillando dall'asciutta prosa momenti di intensa poesia (come l'incontro fra un memorabile Roth e la madre morente, degno di certo Sokurov; o il piano-sequenza con zoom e contro-zoom sul padre, mentre questi sfoga i suoi rimpianti per aver fallito nell'educazione dei figli), ribaltando la morale del noir (le proprie colpe non si pagano con la morte propria, ma con quella dei propri cari), pervenendo addirittura ad un finale disperatamente onirico/edipico. Teniamoci stretto questo James Gray, faro di espressività e sobrietà in una Hollywood allo sbando.

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