Regia di Robert Budreau vedi scheda film
Nel 1973, a Stoccolma, una rapina ad una banca prende una svolta così clamorosa ed inaspettata da generare gli estremi in grado di ribattezzare con il luogo di quell'evento, la sindrome che ne viene studiata per spiegarne gli effetti ed i comportamenti: l'atteggiamento umano, comprensivo, familiare dei due rapinatori induce i pochi impiegati di banca in ostaggio a prendere le difese dei due, divenendo essi stessi parte integrante di una disputa che contenderà le forze dell'ordine con quegli strambi, umanissimi rapinatori.
Il comportamento succube dei rapiti, definito da quel momento "sindrome di Stoccolma", diverrà oggetto di studi comportamentali e vere e proprie diagnosi psicologiche approfondite, in grado di generare situazioni al limite del paradossale, ma tutt'altro che infrequenti, in cui la vittima diviene come colta da una infatuazione irresistibile nei confronti del suo aguzzino, trasformandosi da minaccia in circostanza degna di un attaccamento quasi morboso.
La vicenda, raccontata con una certa verve scanzonata fin eccessiva ad opera del regista e sceneggiatore canadese non particolarmente ispirato come Robert Budreau, permette ai protagonisti di cimentarsi in siparietti grotteschi e scanzonati che l'accanimento verso la ricostruzione scenica legata a quegli inizi ani '70, finisce per rendere sin macchinosa ed artificiale.
Eccessivamente sopra le righe si rivelano sia il pur bravo Ethan Hawke che il suo illustre socio Mark Strong, mentre la solita mono-espressiva e lapidaria se non catatonica Noomi Rapace si conferma, a mio esclusivo personale giudizio, una delle attrici più sopravvalutate dell'ultimo ventennio.
E il film, anzi il filmetto, un'operina debole, prevedibile e davvero poco interessante, destinata a venir presto dimenticata, a differenza della singolare sindrome che la vicenda vera invece ha permesso di elaborare e diagnosticare.
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