Regia di Aaron Sorkin vedi scheda film
Nella società competitiva americana la cosa peggiore che può capitarti è non avere successo quando sai di essere predestinato ad averlo.
Molly Bloom, spinta dal padre (psicologo) a imparare l'arte dello sci con estenuanti allenamenti sin da piccola, nel momento di massimo fulgore della sua carriera sportiva è vittima di un incidente incompatibile con la prosecuzione della stessa. Mentre in famiglia i suoi due fratelli sono celebrati campioni di sport, lei da quel momento è costretta a cercarsi un altro campo in cui eccellere. Ma anziché iniziare gli studi di Giurisprudenza, ove avrebbe avuto sicuramente risultati all'altezza, sbarca il lunario con piccoli lavoretti fino a entrare nel mondo del poker (clandestino). E' qui che trova finalmente lo stimolo per esercitare tutte le sue ambizioni, non come giocatrice ma come organizzatrice di eventi. Ma cosa vuole dimostrare? e soprattutto a chi?...
Dopo Tonya, un'altra biografia che parla di sport, di ossessione per il successo, di una ragazza spinta al limite da un ambiente familiare iper-competitivo.
Ma la cosa che salta più all'occhio, proprio nel confronto con l'altro titolo, è lo stile narrativo: con una voce narrante unica che non permette di opporre punti di vista diversi (daltra parte è tratto dal libro autobiografico scritto dalla protagonista), uno sviluppo molto più tradizionale e toni drammatici che tentano di indurre all'empatia verso la protagonista.
La sceneggiatura di Alan Sorkin fa di tutto infatti per farci amare questa donna-pescecane, incurante delle disgrazie altrui (sportive, umane e soprattutto finanziarie) purché a lei funzionali, entrata in un mondo dov'era a contatto con personaggi con pochi scrupoli, ma con cui si trovava evidentemente a suo agio, collegata a mafiosi russi "a sua insaputa" (come si direbbe dalle nostre parti). Personaggio tutto sommato ben definibile nella sua determinata mancanza di empatia a cui si vuole in qualche modo concedere l'attenuante in un accennato pessimo rapporto adolescenziale con il padre.
Certo l'interpretazione di Jessica Chastain fa passare sopra diverse cose, ma lo script è svolto in modo raccontare solo il "titano" presente in lei, mentre manca del tutto un tentativo di scavo in profondità alla ricerca della fragilità del personaggio (forse anche un po' ruffianamente). A meno che non si volesse raccontare la vicenda giudiziaria, mi chiedo: dov'è la complessità della storia?
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