Regia di Franco De Rosis vedi scheda film
Il tormentato rapporto fra una prostituta e il suo protettore passa sovente per botte e riappacificazioni. Un giorno però lei, ferita agli occhi, fugge; lui non rimane comunque solo: un amico, andando in galera, gli affida la giovane figlia.
Nonostante il contesto e le tematiche – la prostituzione nei quartieri popolari romani, le fasce sociali più povere e ignoranti delle borgate della Capitale – e nonostante la presenza, sia pure in un ruolo marginale, di Franco Citti, Il magnaccio non ha davvero nulla di nulla a che fare con PPP. Pellicola miserrima nel budget, ma dotata di qualche ambizione per lo meno dal punto di vista sociale, di quadro di una situazione preoccupante eppure diffusa nelle zone degradate della città, Il magnaccio rappresenta l’opera prima e ultima per Franco De Rosis, regista dalle doti cinematografiche non particolarmente spiccate. Altrettanto anonima è la firma che compare sulla sceneggiatura, ovvero quella di Giuseppe Guarino; nel cast non compaiono volti di evidente appeal e i nomi più noti (si fa per dire) sono quelli dell’esordiente Riccardo Salvino, di Elina De Witt, di Silvana Venturelli e, in un ruolo di contorno, di Attilio Dottesio. Nel complesso il film pare più una sorta di scimmiottatura pasoliniana, condotta però con mano tremolante da un cineasta di fortuna probabilmente – per dire almeno una cosa a suo discapito – privo di adeguati mezzi; per quanto riguarda la morale di fondo, poi, lo sguardo dell’autore non pare minimamente accostabile a quello di Pasolini. La didascalia di chiusura, fumosa al limite del linguaggio burocratico, dice più di qualsiasi commento. Oggetto bizzarro, tornato in vita grazie al web a quasi mezzo secolo dalla sua uscita in sala. 2/10.
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